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La portaerei in crociera d'affari
13/02/2014
«Ciò che vogliamo dire chiaramente è che in questa missione si mescolano troppi interessi diversi e contrastanti. Che cosa c’entrano le Ong con l’industria degli armamenti? Perché una portaerei militare deve trasformarsi in una fiera itinerante? Quali interessi strategici ha la Marina Militare?». Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo, punta dritto al cuore della missione che il 30° Gruppo navale sta compiendo intorno all’Africa. Un’operazione, di cui abbiamo parlato alla partenza, il 13 novembre e che dovrebbe concludersi il 7 aprile, alla quale hanno partecipato la portaerei Cavour, il rifornitore Etna, la fregata Bergamini e il pattugliatore Borsini. Sulle navi, oltre ai mille uomini di equipaggio, anche rappresentati di alcune importanti industrie italiane e personale di Ong (Fondazione Rava, Operation Smile e le infermiere volontarie della Croce Rossa). Ribattezzata «Il Sistema Paese in movimento», la missione ha già toccato i porti del Golfo Persico e dell’Oceano Indiano. Attualmente sta risalendo la costa atlantica dell’Africa.

Secondo indiscrezioni raccolte da Popoli.info, l’idea di questa iniziativa sarebbe nata nel 2013 al Meeting di Rimini, l’happening organizzato ogni anno da Comunione e Liberazione. Il ministro della Difesa, Mario Mauro avrebbe offerto ad alcuni imprenditori la possibilità di utilizzare la portaerei Cavour per promuovere i loro prodotti. Un fatto non nuovo, già in passato l’industria automobilistica e motociclistica nazionale avevano presentato nuovi modelli di vetture e di moto sull’ammiraglia della nostra Marina. Ma questo progetto è diventato via via più ambizioso. Sulle navi militari sono stati così imbarcati anche i campionari delle imprese degli armamenti e della cantieristica (Finmeccanica, Beretta, Fincantieri). L’operazione dovrebbe costare complessivamente una ventina di milioni di euro dei quali 7-8 a carico della Marina Militare e la restante parte coperti dagli sponsor-espositori.

I vantaggi per le aziende sono molteplici. «Non sappiamo quanti contratti siano stati siglati nelle scorse settimane - osserva Beretta -, sappiamo però che i Paesi toccati sono tutti di grande interesse per l’industria degli armamenti. Pensiamo solo al Golfo Persico, una delle aree che più sta investendo in armi. Qui è possibile piazzare non solo sistemi d’arma complessi, ma anche elicotteri, armi leggere, ecc. Tra l’altro, non è poi così difficile ottenere  le concessioni per l’export in quest’area». Anche l’Africa subsahariana però può trasformarsi in un buon mercato. «Pensiamo a Paesi in forte crescita come Kenya, Sudafrica, Angola, Nigeria - continua Beretta -, offrono grandissime opportunità alle nostre aziende. Alcune di queste stanno addirittura pensando di trasferire produzioni in loco».

Questo aspetto commerciale sta influenzando la missione e, secondo gli esponenti delle organizzazioni pacifiste, sta minando anche la credibilità dello stesso personale militare. «Che i militari frequentino le fiere degli armamenti non è una sorpresa ed è anche logico - continua Beretta -. Ma che navi militari ospitino una fiera questo non è accettabile. Anzitutto perché c’è un palese conflitto di interessi. Quando verrà comperato un sistema d’arma lo si farà perché è funzionale o perché un ammiraglio sta progettando una carriera in qualche azienda degli armamenti? E poi la legge n.185/90 prevede che lo Stato controlli l’export di armamenti e promuova la riconversione dell’industria bellica, non che faccia del marketing».

In questo contesto è stato molto pubblicizzato anche l’aspetto umanitario della missione. Gli spazi della portaerei Cavour (che ha anche strutture mediche molto sofisticate) sono stati utilizzati per operazioni chirurgiche in Kenya, Madagascar, Mozambico e Sudafrica. Altri ne sono stati programmati nelle prossime tappe in Ghana, Marocco e Algeria. «Che vengano aiutati i civili - commenta Beretta - è un dato positivo. Nessuno si sogna di contestare questi interventi. Tuttavia alle Ong che hanno partecipato alla missione chiediamo: un’operazione commerciale e militare è l’ambito giusto per portare avanti operazioni umanitarie? Se sì, come sarà possibile parlare di indipendenza della società civile? È questo groviglio di interessi che contestiamo e che non possiamo accettare».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli