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Riti e diritti
1° ottobre 2012

La recente sentenza di un tribunale tedesco, che di fatto sanziona la circoncisione di minori, ha suscitato polemiche e allarmi da parte di esponenti religiosi, non solo in Germania. La vicenda apre delicati interrogativi sul rapporto tra norme civili e prescrizioni religiose, tra laicità e libertà religiosa: un tema che la pluralità di culture e di fedi rende sempre più attuale in Europa. Nell'inchiesta pubblicata sul numero di ottobre, Popoli ha interpellato esperti in diverse discipline, dall'antropologia alla teologia, chiedendo anche un commento al rabbino Giuseppe Laras. Pubblichiamo qui l'intervento del sociologo Stefano Allievi.

Dopo i veli e i crocifissi, toccherà ai prepuzi diventare oggetto di dibattito culturale, di confronto politico, di iniziativa legislativa?
La polemica religiosa estiva di quest’anno è emersa in Germania. Una sentenza del tribunale di Colonia - relativa a un bambino musulmano di quattro anni che aveva dovuto patire fastidiose complicazioni a seguito di una circoncisione - ha di fatto definito reato la circoncisione per motivi religiosi, in quanto «lesiva dell’integrità fisica» della persona. Una decisione che ha allarmato i musulmani, ma ancora di più gli ebrei - che condividono con i musulmani identica pratica -, il cui peso, in Germania, anche se numericamente inferiore, è per ovvie ragioni storiche culturalmente molto superiore. Ed è stato a causa delle durissime proteste ebraiche - la Conferenza europea dei rabbini ha addirittura definito la decisione «il peggior attacco agli ebrei dal tempo dell’Olocausto» - che il caso ha innescato una polemica pubblica di rilievo.
Nella sua iniziativa di protesta, la comunità ebraica tedesca ha incassato l’appoggio - oltre ovviamente dei musulmani - anche della Chiesa evangelica e della Chiesa cattolica tedesca. Per ragioni che non sono di mera solidarietà, come vedremo, ma di principo.

UN RITO TRASVERSALE
Il Parlamento tedesco, per la verità, si è affrettato a votare a larga maggioranza una risoluzione favorevole alla circoncisione. Ma un sondaggio rivela che quasi la metà della popolazione (45%) sarebbe contraria, in nome della libertà di scelta in età adulta del bambino. Principio apparentemente ragionevole, il cui riferimento sono i diritti dell’individuo. Ma che, estensivamente applicato, potrebbe portare davvero molto lontano: ovvero ben al di là delle scelte e delle problematiche religiose, andando a implicare (e vietare?) ogni pratica educativa, religiosa o meno.
Il vantaggio di questa polemica, se così possiamo dire, è che non vale per una singola comunità religiosa. Si fosse trattato di un’usanza solo islamica, avremmo visto la stanca e ripetitiva prassi delle strumentalizzazioni politiche e degli schieramenti su posizione avverse. Ma il fatto che sia condivisa da ebrei e musulmani (come del resto la questione della macellazione rituale, ciclicamente rimessa in questione in vari Paesi, talvolta da partiti islamofobi ignari che riguardi anche gli ebrei), e praticata da molti altri per motivi igienici, come accade negli Usa (secondo alcuni studi, la maggioranza dei maschi americani è circoncisa, e molti ospedali la offrono come prestazione standard), aiuta a far andare la polemica dritta verso snodi teorici fondamentali che toccano i principi fondativi delle società pluralistiche.
Ci sono certo aspetti pratici che toccano la questione: come ad esempio chi sia il soggetto autorizzato a praticarla (rabbini e imam o solo medici?) e il luogo in cui ciò è consentito (solo l’ospedale o anche una casa privata o un locale religioso?). Ma fin qui siamo nel novero delle technicalities, facilmente risolvibili. Ricordiamo che su questi aspetti ci sono state accuse e processi anche in Italia, a proposito di imam che avevano operato maldestramente provocando infezioni e lesioni a un bambino.

AL CUORE DEL PROBLEMA
È chiaro invece che la questione cruciale è di principio, ed è grande come i fondamenti stessi del vivere in comune, dei principi fondativi della società, e del riconoscimento, tra le altre libertà, della libertà educativa e religiosa.
Quali sono i limiti della libertà di religione? Può essa includere pratiche contrarie alla legge? No, evidentemente. Ma quali limiti può porre la legge, e in base a quali principi?
Un primo limite è certamente l’integrità della persona fisica. Nessuno, nei Paesi occidentali, lo mette in questione. Tanto è vero che sulla base di questo criterio si è bandita ogni tolleranza di fronte all’escissione e all’infibulazione. Ma come si definisce questa integrità? Il limite è estendibile anche a pratiche, come la circoncisione maschile (ma potrebbe essere anche l’imposizione di un orecchino o di un tatuaggio), che non provocano un danno all’individuo, ma semmai ne sanciscono una diversità?
Ancora, dove porre il limite alla libertà personale, inclusa quella degli educatori e dei genitori? Perché un’interpretazione estensiva del principio dell’intangibilità della persona, non solo sul piano fisico, potrebbe portare a vietare, sulla base di questi presupposti, anche il battesimo o qualunque altra pratica che attribuisca al soggetto minorenne uno status particolare o un’etichetta sociale: dal portare simboli religiosi, all’imporre un determinato codice vestiario, anche non religiosamente motivato.
Così facendo il rischio è che emerga un’idea di società che - come nella legge francese introdotta per combattere il velo islamico nella scuola pubblica - espunge i simboli religiosi dalla sfera pubblica, ma non tutti gli altri simboli (politici, culturali o di moda). Una società e una legislazione che, in pratica, decidono sulla base di un criterio ideologico, o meramente di potere, ciò che è consentito e ciò che non lo è. Sarebbe un paradosso, in società che sono sempre più plurali, e quindi contengono al loro interno diversità sempre maggiori.
È sulla base di questi interrogativi che la sentenza di Colonia esce dal folklore per diventare un possibile segnale di dove stanno andando le società europee. E apre una discussione, anziché chiuderla. Sulle religioni, ma anche sull’idea di laicità che stiamo costruendo: una laicità aperta e includente, o al contrario, come sembra adombrare la sentenza di Colonia, una laicità esclusivista e, di fondo, ideologica?

Stefano Allievi
Sociologo
dell’Università di Padova

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© FCSF – Popoli