Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
"Scampato al genocidio in Ruanda, ho scoperto il perdono"
7 aprile 2014
Un gesuita del Ruanda racconta come la fede lo abbia portato a perdonare coloro che sterminarono gran parte della sua famiglia e come la riconciliazione abbia favorito la sua vocazione portandolo a entrare nella Compagnia di Gesù.


Il genocidio contro i tutsi
del 1994 per me non è stato solo una tragedia, mi ha lasciato ferite che hanno richiesto tempo per rimarginarsi. Ricordo che dopo il luglio 1994, quando il genocidio è terminato, era così difficile amare o vedere qualcosa di buono in un vicino di casa, soprattutto in quelli che avevano sterminato la mia famiglia.

Alcuni dei nostri vicini hanno ucciso mio padre, lo hanno sepolto e poi hanno riesumato il suo corpo per darlo in pasto agli uccelli e ai cani. Hanno gettato vivi i miei due fratelli e mia sorella in una fossa usata come latrina e li hanno lasciati morire lì dentro. Hanno portato mia nonna materna e alcuni cugini al grande fiume Nyabarongo e li hanno gettati dentro facendoli annegare. Hanno violentato mia zia, contagiandola con l’Hiv-Aids. Hanno picchiato e ferito mia madre talmente forte che le conseguenze delle ferite l’hanno portata alla morte. Come potevo vivere e amare nuovamente queste persone? No, non ero pronto a farlo. Non ero pronto ad ascoltare quel Dio che ci chiede di amare i nostri nemici! Perché aveva lasciato uccidere le persone che amavo come tanti scarafaggi? Perché Nkurunziza e Kanani avevano ucciso i miei cari? Ricordo che mio padre aveva dato loro un appezzamento di terra e aveva pagato le tasse scolastiche dei loro figli.

Eppure questo Dio non mi aveva abbandonato! Perché ero sopravvissuto? Perché ero ancora vivo? Ero meglio di quelli che sono stati uccisi? Perché [gli autori del genocidio] non hanno scoperto il grande alveare vuoto del signor Kabera nel quale egli mi ha nascosto durante i massacri? Queste domande mi hanno turbato per anni. Non riuscivo a vedere un futuro senza mio padre, mia madre e i miei fratelli. Ero diventato prigioniero di me stesso. Fino a quando ho letto il Salmo 116: «Come posso ripagare il Signore per tutto il bene fatto per me...?» (v. 12). È lì che mi sono reso conto che mi è stato dato più tempo per vivere, un tempo che avrei dovuto utilizzare al meglio per Dio.

Qualche anno dopo sono tornato al villaggio [Kabirizi, Gitarama] dove avevo vissuto con la mia famiglia e, con mia sorpresa, ho incontrato uno degli assassini dei miei fratelli e di mia sorella. Non potevo credere ai miei occhi. Quando mi ha visto, mi è venuto incontro. Ho pensato che stesse venendo per uccidere anche me. Invece, come in un film, si è inginocchiato davanti a me e mi ha chiesto perdono. Dopo qualche momento di confusione, in cui continuavo a chiedermi che cosa stava succedendo (con sensazioni contraddittorie che non riesco a descrivere), l’ho preso, l’ho abbracciato e gli ho detto: «Ti perdono. Il Signore è stato buono con me». Da quel momento, mi sono sentito libero! Ho capito che il perdono guarisce più chi perdona di chi è stato perdonato. Le mie ferite hanno guarito gli altri. È così che ho capito che avrei dovuto donarmi al Signore come compagno di Gesù. Ed è come gesuita che scrivo.

Mi sono sentito attratto dalla Compagnia di Gesù anzitutto per la profondità delle predicazioni e dei colloqui presso il Centro Christus, il centro spirituale dei gesuiti nella capitale Kigali. Ascoltandoli, mi apparivano diversi. Conoscevano le ferite del nostro mondo e mi hanno fatto comprendere come anche il Figlio di Dio fosse ferito. Apparivano così liberi, nonostante fossero anch’essi feriti. Come gesuita ho sperimentato la serenità dell’animo. Ho compreso come le mie ferite mi avvicinino a Dio, il rendere la sua grazia evidente agli altri può aiutare chi è rimasto profondamente ferito nella lotta, perché tutti cerchiamo la riconciliazione e la salvezza.

Lo sperimentare la potenza dello Spirito nel trasformare i cuori delle vittime e dei loro carnefici e quindi ristabilire la fraternità mi ha fatto crescere. La mia storia è una tra le tante storie di rinascita a nuova vita in Cristo, una storia di amore e di abbandono verso Gesù. Possa egli mantenere vivo il fuoco della fede!
Marcel Uwienza SJ
© FCSF – Popoli
Tags
Aree tematiche
Aree geografiche