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Aweis, l'uomo che ha vinto tre volte
Credeva di riuscire a cavarsela, Aweis, nel caos di Mogadiscio. Contava sui suoi mille contatti, sulla capacità di stare al mondo con un pizzico di astuzia. Anche quando le milizie di al-Shabaab hanno dato alle fiamme il suo cinema, uno spazio di leggerezza e di vita in una città piegata dagli scontri armati, non ha pensato subito di andarsene. Ha cercato di ritagliarsi uno spazio per un’esistenza tranquilla, venendo a patti con chi comandava in quel momento. Poi una richiesta, inaccettabile: uccidere degli innocenti per provare la propria cieca obbedienza. A questo Aweis non può acconsentire.

Rifiutandosi di diventare un assassino per paura, Aweis registra la sua prima vittoria, quella contro la spirale di violenza che da troppi anni travolge la sua Somalia. È una vittoria amara, che paga con la fuga. Una discesa agli inferi in cui un orrore lascia il posto a un altro orrore: trafficanti senza scrupoli, un itinerario infinito in cui la vita umana sembra non contare più nulla, in quel Sahara in cui si vive o si muore per una manciata di dollari.

Aweis combatte per sopravvivere, ma anche per non perdere la sua dignità. Per non assuefarsi alle atrocità quotidiane.
Aweis vince ancora, sopravvivendo al suo personale duello con la morte. Il deserto non lo inghiotte, i flutti del Mediterraneo non lo travolgono. Neanche il percorso, tutto in salita, che deve intraprendere da rifugiato in Italia ne abbatte la forza d’animo. La mente corre costantemente a chi è rimasto a casa. Qualcuno è stato ucciso dalla vendetta cieca dei persecutori. Ma a Mogadiscio ha lasciato tre bambini, che in tutta la loro vita non hanno mai conosciuto la pace. Non sarebbe un padre se non si buttasse, anima e corpo, anche in questa battaglia: portarli in Italia.

Una guerra diversa, altrettanto estenuante: burocrazia, ritardi, cavilli incomprensibili. Ma è arrivata anche la terza vittoria, e molte altre seguiranno. Noi facciamo il tifo per lui, per loro. (Nella foto, Aweis e i suoi figli).
Fondazione Astalli


CENTRO ARRUPE, IL RIFUGIO DI 23 FAMIGLIE
La comunità di famiglie rifugiate del Centro Pedro Arrupe di Roma ospita da oltre dieci anni genitori con bambini in fuga da guerre e persecuzioni. Le famiglie rifugiate richiedono un’attenzione particolare e una progettualità complessa che tenga nella giusta considerazione le esigenze di ciascun componente del nucleo.
L’inserimento scolastico dei piccoli, la ricerca di un lavoro per almeno uno dei genitori e il trasferimento in un alloggio indipendente sono traguardi da raggiungere al termine di un percorso d’accoglienza non sempre privo di ostacoli.
La comunità di famiglie rifugiate ha accolto, nel corso del 2012, 23 nuclei familiari, per un totale di 88 ospiti. La provenienza geografica delle persone accolte è molto varia. Le nazionalità maggiormente rappresentate sono Nigeria, Afghanistan ed Egitto (10% circa), seguite da Camerun ed Eritrea (8%) e Libia e Guinea (7%).
Un ottavo dei nuclei familiari accolti nella comunità di famiglie rifugiate del Centro Pedro Arrupe si sono ritrovati in Italia in seguito a ricongiungimenti familiari, a volte dopo separazioni durate molto tempo.
© FCSF - Popoli, 1 maggio 2013