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di Pavia Media Research
Libia, democrazia agli albori

Le elezioni svoltesi in Libia il 7 luglio hanno tracciato un chiaro confine con il passato e decretato un passaggio verso la democrazia attraverso un lungo periodo di transizione.

I cittadini libici si sono recati alle urne in maniera per lo più pacifica facendo registrare un’affluenza pari a quasi il 65%, malgrado lo svolgimento delle elezioni sia stato in forse fino all’ultimo a causa di incidenti e scontri soprattutto nella zona orientale del Paese (Cirenaica): vale la pena ricordare che a Bengasi, alla vigilia delle elezioni, è stato abbattuto un elicottero che trasportava materiale elettorale e che un seggio è stato incendiato dopo una notte di scontri. Dal canto suo la comunità internazionale ha riconosciuto le elezioni dell’Assemblea costituente in Libia come pacifiche e trasparenti. Infatti, l’8 luglio, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha rilasciato una dichiarazione esprimendo le sue congratulazioni per l’elezione dell’Assemblea costituente e dichiarando che il risultato elettorale rispecchia la volontà del popolo libico.

Uno degli elementi che ha generato un aspro dibattito nel Paese è stato il sistema elettorale adottato. I cittadini libici, dopo 42 anni di dittatura, sono andati a votare con un complesso sistema misto maggioritario/proporzionale, in base al quale, dei 200 seggi per l’Assemblea costituente, 80 sono stati assegnati con un sistema proporzionale e 120 sono stati riservati ai candidati cosiddetti «indipendenti», eletti attraverso un sistema maggioritario individuale.

Tutte le Ong e le organizzazioni sovranazionali impegnate nell’assistenza alle istituzioni libiche per l’organizzazione delle elezioni e nell’osservazione del loro svolgimento hanno accolto con sollievo l’annuncio dei risultati da parte dell’Alta Commissione elettorale. Risultati, va ricordato, che a differenza di altri Paesi investiti dalla Primavera araba - come Egitto e  Tunisia - hanno decretato la vittoria di una coalizione moderata, l’Alleanza delle forze nazionali (Afn), raggruppamento di 58 movimenti politici e più di 230 Ong.

Secondo i dati diffusi dall’Alta Commissione elettorale, Afn ha vinto le elezioni con il 48% dei voti (39 seggi ), seguita dal partito di ispirazione islamica e pro-sharia Giustizia e ricostruzione, con appena il 10% dei voti (17 seggi).

Per quanto riguarda la comunicazione politica, i media mainstream hanno operato in un contesto caratterizzato da una sostanziale disattenzione alle regole, a causa di due fattori: innanzitutto la mancanza di familiarità degli operatori dell’informazione a comunicare nel rispetto di una normativa garante del pluralismo e della democrazia, introdotta per la prima volta nel Paese dalla Commissione elettorale. A questo limite si collega direttamente il secondo fattore, più operativo: la mancanza di expertise e di strumenti effettivi per affrontare una campagna elettorale. In tale contesto hanno prevalso i candidati che avevano a disposizione maggiori risorse economiche. I social media, che pure hanno avuto un ruolo importante nella rivoluzione contro il regime di Gheddafi, erano per lo più utilizzati dai giovani della classe più abbiente del Paese.

L’entusiasmo per i risultati e le speranze dei libici non possono tuttavia rimuovere gli ostacoli di cui è irto il cammino verso la democrazia, dove ci sono nodi non ancora sciolti che possono compromettere lo sforzo compiuto durante la guerra di liberazione. La dicotomia Est-Ovest (Cirenaica vs Tripolitania), la questione della laicità dello Stato, i «regolamenti di conti» fra tribù storicamente avversarie, l’incapacità delle autorità locali di disarmare le milizie armate che controllano intere porzioni del territorio, le questioni delle minoranze linguistiche (berberi), dei diritti civili, del controllo e sfruttamento delle risorse naturali (petrolio e gas) e la redistribuzione dei loro proventi sono solo alcuni problemi a cui la nuova Assemblea appena eletta è chiamata a rispondere, pena il caos e la «balcanizzazione» della Libia con una ripercussione non solo nell’area del Nord Africa, ma anche nell’Europa mediterranea. E le convulsioni politiche in cui, all’inizio di ottobre, stenta ancora a nascere un governo di coalizione, sembrano andare in tale direzione.

Koshin Mohamed Aden

© FCSF - Popoli, 1 novembre 2012