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Mio fratello nel mirino
Sono Adam, ho 33 anni, sono rifugiato in Italia perché in Sudan non potevo restare. Sono uno dei sopravvissuti alla guerra, arrivati dal mare. Sento molto forte la responsabilità di farmi portavoce del dolore e della speranza di tutti i rifugiati in Italia. Trovare le parole non è facile.
Ho pensato di raccontare brevemente la mia storia, non perché penso sia più importante di tante altre storie, ma, al contrario, perché la mia esperienza che può sembrare eccezionale in realtà è una storia comune a tantissime persone nel mondo. È una storia di guerra.

Tutto è iniziato quando alcuni militari hanno dato fuoco al mio villaggio nel Darfur. Le mie due sorelle più piccole, di 4 e 6 anni, sono morte tra le fiamme. Io sono stato costretto ad arruolarmi con i ribelli, mio fratello con l’esercito governativo. Due mesi dopo l’incendio mi trovavo in mezzo a un conflitto con un fucile in mano.
Stavamo combattendo contro quelli che mi avevano ordinato di considerare nemici. Mai avrei pensato che quel giorno il nemico sarebbe stato mio fratello maggiore.
Siamo rimasti paralizzati a fissarci negli occhi. Non ci siamo detti nulla. Ho lanciato a terra il fucile e ho cominciato a scappare. La mia fuga è finita in Italia. Noi rifugiati siamo i fortunati testimoni dei tanti che muoiono in guerra, che vengono uccisi da terribili dittature.

La cosa più difficile per chi come me è rifugiato in Italia è far conoscere il dramma che vivono i nostri popoli. Non possiamo permetterci di cedere al dolore, di chiuderci in noi stessi, di considerarci vittime di un’ingiustizia. Se facciamo così offendiamo la memoria di chi non ce l’ha fatta.
Noi rifugiati abbiamo il dovere di fare del nostro meglio per essere integrati in Italia. È difficile, ma non possiamo non provarci. Molti di noi quando arrivano sono pieni di speranza e aspettative. Convinti che il peggio ce lo siamo lasciati alle spalle. Invece troppo spesso dobbiamo ricrederci.

Un letto, un pasto caldo, un luogo da chiamare casa e in cui riprendersi dalle fatiche del viaggio e dagli orrori della guerra per tanti di noi non c’è. E anche se così l’integrazione diventa un sogno più che un progetto, noi non dobbiamo arrenderci. Io sono stato fortunato, sono stato aiutato dagli amici del Centro Astalli. Loro sono la mia casa, la mia seconda famiglia.

Un’ultima cosa. Il viaggio che noi affrontiamo per chiedere asilo in Europa è un crimine contro l’umanità. Eravamo in 170 sulla barca che dalla Libia ci ha portato in Italia. Ognuno di noi ha pagato 1.200 dollari per affrontare il mare. Molti di noi hanno pagato il biglietto per incontrare la morte. Chiedere asilo non può essere un tragico modo di perdere la vita.
Fondazione Astalli
La foto non si riferisce
ai soggetti descritti nell’articolo


AIUTARE IL CENTRO ASTALLI NON COSTA NULLA
Grazie alla Legge finanziaria del 2013, anche quest’anno si può destinare il 5×1000 delle imposte ad attività in favore di rifugiati e richiedenti asilo, firmando per il Centro Astalli di Roma.
Basterà inserire il codice fiscale del Centro Astalli, 96112950587, sui modelli di dichiarazione dei redditi, Cud, 730, Unico persone fisiche, e apporre la propria firma nel primo riquadro dedicato alle Onlus.
Non costa niente e non sostituisce l’8x1000 destinato alle confessioni religiose: entrambe le opzioni possono essere espresse.
Con il 5x1000 per il Centro Astalli si compie un gesto per offrire una prima accoglienza ai richiedenti asilo e rifugiati che arrivano in Italia (vitto, alloggio, tutela legale, orientamento alla lingua italiana); garantire un particolare percorso di tutela per coloro che sono stati vittime di tortura; favorire l’inserimento e l’integrazione dei rifugiati nella società italiana; promuovere progetti di sensibilizzazione di giovani studenti sui diritti umani.
© FCSF - Popoli, 1 maggio 2014