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"Non siamo ospiti, ma il sale della terra"

La prima cosa che ti colpisce di padre, anzi abuna, come dicono gli arabi, Giulio Brunella, è la passione con cui ti parla, lo sguardo intenso e vissuto, la parola molto ponderata, scelta perché sentita. Ma anche scelta fra altre che in altre condizioni si potrebbero esprimere tranquillamente e che qui, a Ramallah, in Palestina, forse non sono così opportune, quasi che ci sia sempre qualcuno ad ascoltare.

Questo prete nato nel cuore di Roma, da madre di antiche origini siriane, ha modi schietti e un’esperienza di vita singolare. A iniziare dalla vocazione, doppia. «L’amore per il Signore è nato quasi insieme all’amore per il mondo arabo - racconta -. A 14 anni il primo contatto con una congregazione francese, poi un viaggio in Marocco ai tempi dell’università, dove ho capito che ero negato per fare il missionario, poi il ritorno a Roma e la frequentazione della chiesa di Santa Maria in Cosmedin, dove tuttora il giovedì si celebra la messa in lingua araba. E poi il noviziato nel Libano meridionale, con tanti palestinesi».

L’ordinazione è in Palestina, quasi vent’anni trascorsi fra Betlemme e la Giordania, per poi arrivare a Ramallah, dove è parroco da un anno e mezzo. Con la consapevolezza forte, radicata, che la Chiesa universale ha anche un’identità araba, e lui per primo si definisce prima arabo, poi cristiano, poi palestinese.

«Dal punto di vista evangelico siamo noi il sale della terra - sottolinea -: qui non siamo ospiti, sono ospiti  altre Chiese, a differenza di quanto possa apparire alla mentalità occidentale imperante. Al di là di quello che si può comunemente pensare, l’islam ci riconosce come Chiesa e come parte della stessa famiglia, agevolata anche dalla lingua comune usata». Sale della terra, ma minoranza. «La fede è un fatto personale - replica abuna Giulio -, non servono i grandi numeri, ma va preso atto che c’è stata un’autentica diaspora, anche se spesso l’Occidente fa finta di non conoscerci, proponendo una realtà falsificata e semplificata nell’opposizione tra Occidente cristiano e Oriente islamico. La nostra stessa presenza qui rompe gli schemi. Il Medio oriente è un mosaico complesso, di varie identità religiose rappresentati da fuori come gruppi etnici contrapposti; in realtà, fino a pochi anni fa, all’interno dello stesso islam non esisteva una contrapposizione armata tra sciiti e sunniti. E su molti temi la nostra voce non è diversa da quella dei musulmani».

Ci sono musulmani e musulmani, però. «I dieci anni passati a Firenze come cappellano del carcere mi hanno messo a contatto con persone che mi sono rimaste nel cuore, soprattutto tunisine e marocchine. Un’esperienza forte, a contatto con un vuoto di identità religiosa e umana, tra miserie, prostituzione, povertà». Riusciamo a concludere con un messaggio di speranza? «La nostra situazione attuale mi fa pensare a un tunnel chiuso, a una Via crucis piena di passione. Ma dopo la morte in croce viene la resurrezione, la rinascita, e dopo ogni notte lunga, da cristiano arabo, devo pensare che viene l’alba di un giorno migliore».

Elisa Costanzo

 

CRISTIANI DI PALESTINA
La maggior parte dei palestinesi cristiani vive lontano dalla Palestina. Chi non è partito, per scelta o per forza, vive dentro i confini di Israele (circa 170mila), in Cisgiordania (7-8% della popolazione, 120mila) e a Gaza (10mila). In totale circa 300mila cristiani palestinesi di lingua araba sarebbero rimasti in Terra Santa. Secondo altre stime, i cristiani in Cisgiordania e a Gaza sarebbero solo il 2%.
Metà di essi appartiene alla Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme. I cattolici sono perlopiù melchiti, maroniti, caldei, romano-cattolici (latini). Altri ancora appartengono a Chiese orientali (armeni, siriaci) e protestanti di varie denominazioni.
La più alta concentrazione si registra in alcune città, come Betlemme (43% degli abitanti) e Ramallah (25%). Occupano 8 seggi su 132 nel Consiglio legislativo dell’Anp.

© FCSF - Popoli, 1 agosto 2013