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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
A proposito di un articolo di André Glucksmann sulla Siria

L’articolo di André Glucksmann (“Pendant les JO, la tuerie continue en Syrie”) è apparso su Le Monde l'11 agosto 2012.

L’analisi di Glucksmann sulla crisi siriana potrà sembrare troppo spigolosa a metà dell’estate, e addirittura offensiva nei confronti del negoziatore dell’ONU e della Lega Araba Kofi Annan appena ritiratosi dal suo fallimentare impegno. Per esser pratici, conviene tradurre i passi salienti del testo dell’articolo francese con licenza di riassumere e commentare ove opportuno.

“Mentre i giochi olimpici di Londra affascinano il pubblico mondiale e mentre i carri armati e gli aerei massacratori di Bashar al-Assad rovinano il piacere alle anime sensibili, le dimissioni di Kofi Annan sono accolte in un silenzio tipicamente estivo. Eppure, quando il mediatore dell’ONU in Siria getta la spugna, è tutta un’epoca che si conclude con un fiasco vergognoso. Questo Premio Nobel fu il numero due e successivamente il numero uno di tale organizzazione internazionale; affabile diplomatico originario del Ghana, mostrò sentimenti di benevolenza, umanitari e pacifici, ricompensati da risultati catastrofici”.

L’articolo prosegue con la lista dei fallimenti di Annan sia in Bosnia che in Ruanda dove egli rifiutò d’inviare i caschi blu a impedire il genocidio. Divenuto segretario generale, non fece nulla per fermare Putin allorché eliminò un ceceno su cinque. “Davvero c’era da credere che questo piccolo popolo d’un milione d’abitanti contasse duecento mila terroristi?” Segue la descrizione della crisi della Corea del Nord comunista con milioni di morti. Kofi Annan si sarebbe accontentato di rispettare a oltranza il principio della sovranità nazionale: “il carbonaio è re a casa sua qualunque sia il crimine che commetta contro i suoi”. Annan fu appena più coerente nel caso del Darfour sudanese … Nonostante l’ipercoscienza della responsabilità ONUsiana (“siamo la coscienza del mondo” disse Annan nel 1995, cinquantesimo dell’ONU) “Le sue dimissioni il 2 Agosto suonano il te deum dei disimpegni di tutta la sua vita”.

“Mentre Kofi Annan, animato dalle migliori intenzioni, registra fallimento dopo fallimento, Vladimir Putin vola di successo in successo, dissimulando sempre meno il suo cinismo assassino che sfugge solo a coloro che volontariamente si auto ingannano”. Viene poi sottolineato il ruolo di comparsa di Medvedev e si afferma che: “qualunque opposizione democratica in Russia non è considerata altro che un ammasso di complottisti stipendiati dai servizi segreti stranieri, soprattutto americani”. Si fa quindi l’esempio dell’Ossezia meridionale e delle milizie armate e addestrate dai russi e da questi telecomandate, nonostante le falsità, nella guerra del 2008. Putin è descritto come il governante tipicamente avvezzo alla menzogna e alla calunnia al fine di accrescere il proprio potere.

A prescindere – riassumo - dai difetti russi in materia di modernità, di crescita economica, di enorme corruzione mafiosa e di “nichilismo giudiziario e burocratico”,  Putin non si preoccupa di diffondere ideali; gli basta minacciare l’uso delle armi di distruzione di massa. Sia giocando la carta nucleare, quella delle armi convenzionali distribuite senza scrupoli, e del ricatto del petrolio e del gas, “il principe post marxista” si erige a potenza mondiale elaborando una strategia del nuocere a trecentosessanta gradi.

“Per un fenomeno di vasi comunicanti, la caduta della ‘coscienza del mondo’ di Annan è correlata alla crescita della potenza di Putin. Quanto più l’Onu fallisce nel proteggere i civili (la risoluzione n. 1973 è rimasta un’eccezione e il salvataggio di Bengasi rimane l’opera di David Cameron e Nicolas Sarkozy), quanto più si estende la zona grigia nella quale i civili sono abbandonati al furore dei caccia e dei carri armati, tanto più Putin si propone come protettore supremo dei despoti, minoritari ma super armati: li garantisce contro gli interventi esterni, usando il veto al Consiglio di Sicurezza, intronizzandosi come padrino dei padrini”. L’autorità russa – secondo l’articolista – si muove senza scrupoli, da eterno membro del KGB. Solo le ingenuità diplomatiche francesi o dell’ONU, e le remore preelettorali di Obama e dei suoi simili europei, consentono d’immaginare che “Putin, ‘il boia del Caucaso’, sia sensibile alla distruzione delle città siriane. ‘20 000 morti in un anno!’ si scandalizzano la stampa e le ONG democratiche. ‘Solamente?’ sorride Putin; Bashar al-Asad, ancora uno sforzo!”

L’argomentazione si sviluppa considerando che l’amministrazione russa non è propensa a favorire la democrazia anche a causa del timore che provocano le contestazioni nelle strade di Mosca. “Tutto ciò  che può interrompere nettamente il contagio emancipatorio delle ‘primavere arabe’ è rilevante per la combriccola preoccupata della propria sopravvivenza. Se Putin protegge Assad è perché una possibile vittoria di Assad protegge Putin. Una ribellione soffocata nel sangue, in stile ceceno, avrebbe valore d’esempio e d’avvertimento per il popolo russo e per i suoi ‘vicini prossimi’.”

L’articolo volge alla conclusione cercando di smascherare le ingenuità diplomatiche… “Inutile riprodurre l’ingenuità, finta o sincera, d’un Kofi Annan. Inutile accumulare conferenze su conferenze (di preferenza dopo le vacanze). Inutile accordarsi una pausa di riflessione dopo una pausa d’inazione. Inutile aggiungere i mullà iraniani, o anche il Papa, alle tavole rotonde sulla Siria. Fino a quando si preferisce immaginare che il capo del Cremlino non abbia coscienza di promuovere scientemente la felicità dei tiranni e la malasorte delle popolazioni, l’inferno aumenterà. Da un anno a questa parte dei civili siriani resistono a un regime torturatore e criminale. Ovviamente, i rivoltosi non sono tutti angeli caduti dal cielo delle idee, innocenti di qualunque esazione; infatti queste tanto più si moltiplicheranno quanto più tutto il mondo li abbandona disarmati e consente a che si commetta l’irreparabile”.

Glucksmann sembra indicare come unica soluzione decente l’impegno militare occidentale diretto, almeno nella forma “libica” della no fly zone. Meraviglia tuttavia che si rinunci a percorrere ipotesi meno “atlantiche”.

“La commedia del ricorso in ultima istanza al Consiglio di sicurezza è durata abbastanza. Non si può attendere all’infinito che il ciglio di Putin s’inumidisca assieme agli occhi dei suoi compagni cinesi o che un briciolo d’umanità gli palpiti in petto. Lo scacco di Kofi Annan è quello d’una comunità internazionale sognatrice, che da vent’anni consegna il suo destino alle unanimità bidone d’un Consiglio di sicurezza sottomesso ai diktat di San Vladimiro, padrone della Lubianca”.

E’ opportuno guardare alla tesi di Glucksmann con un pizzico di spirito critico. L’Occidente non è stato sempre fraterno nei confronti dei popoli mediorientali negli ultimi anni. E’ andato a braccetto coi dittatori e quando li ha distrutti non è riuscito a farlo con una partecipazione cordiale dei partner locali. C’è sicuramente il bisogno urgente di salvare Aleppo dai caccia di Assad, di proteggere, attraverso l’interposizione dei caschi blu, le popolazioni scivolate nel conflitto civile, specie nell’Ovest e a Damasco, di consentire al popolo siriano di scrivere la sua costituzione democratica e consensuale, e di risorgere così dal quarantennio totalitario. E’ dovere della comunità internazionale operare per l’unità della Siria rinunciando ai massimalismi. 

Non è solo per motivi morali, ma anche per motivi strategici, che conviene trattare fin d’ora la Russia e l’Iran secondo il livello di responsabilità e la portata geostrategica che gli competerebbero se avessero già saputo maturare la condizione di democrazie coerenti, rispettose dei diritti umani e a livello della storia di civiltà che le caratterizza. Per questo è da proporsi con coraggio la neutralità della Siria, sia rispetto allo scacchiere sunnita-sciita sia a quello Russia-NATO.

Non si può tacere l’impressione che Glucksmann eviti di toccare il dolente tasto israeliano proprio quando si ha la sensazione che lo Stato sionista, vicino meridionale della Siria, non abbia fatto nulla per facilitare la democratizzazione e salvaguardare l’unità della comunità civile siriana, inaggirabile nella prospettiva della pacificazione regionale. Che l’odio di sunniti e sciiti verso Israele sia speculare è innegabile. Che bisogni agire assieme per superarlo, invece che profittarne al fine di giustificare l’arabo-scetticismo e l’espansionismo in Cisgiordania, mi parrebbe un’evidenza e frutto d’una saggezza propriamente giudea.

Aggiungo a mo’ di corollario che il dialogo siriano-siriano fuori dalla Siria, patrocinato dai democratici solidali di mezzo mondo, potrebbe svolgere un ruolo di mediazione utilissimo poi all’interno del paese. Lo stesso si dica per il dialogo sciita-sunnita da favorire ovunque. Non sarà il modello secolare quello che salverà la Siria dalla guerra civile, bensì la convinzione sacra, teologica, di voler vivere assieme in una società plurale, pia e tollerante. I cristiani stanno abbandonando la Siria quando non finiscono con lo schierarsi armati con le milizie del regime. Certamente sono in numero significativo quelli che hanno raggiunto la rivoluzione, che alcuni di loro addirittura fomentarono. Molti di più quelli che, rinunciando a una posizione disimpegnata e attendista, lavorano senza discriminazioni all’aiuto umanitario in favore delle vittime della violenza. Sapranno i cristiani siriani essere un elemento di mediazione e riconciliazione nella Siria avvenire? Questo dipenderà anche dalle loro scelte mature a favore della democrazia e i diritti, rinunciando agli istinti islamofobi di molti loro correligionari all’estero.

© FCSF – Popoli, 18 agosto 2012
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