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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Alle fonti della missione: le ferite del Risorto
Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi
(leggi Giovanni 20,19-23)

La vocazione di figlio di Dio, propria di ogni battezzato, si realizza nella sua missione verso il fratello. Siamo tutti apostoli: lo stesso amore del Figlio ci spinge verso tutti i fratelli (2 Cor 5,14). Egli, solidale con noi oltre ogni limite, nel suo amore di fratello ci mostra quello del Padre. La sua missione è già compiuta sulla croce, dove realizza l'amore perfetto. Da lì ci offre la sua vita, il suo Spirito. Però occorre tempo perché il dono sia accolto, perché il seme porti frutto, perché l'amore - «amor ch'a nullo amato amar perdona» - sia riamato. Ciò che lui ci dona dalla croce, noi lo riceviamo a Pentecoste, dopo cinquanta giorni.

Tuttavia l'evangelista Giovanni pone la Pentecoste nel giorno stesso di Pasqua. Infatti, quando accogliamo l'amore, è pasqua, risurrezione di Dio in noi e nostra in lui. Egli, che è amore, muore dove non è amato e vive dove è amato. E anche noi passiamo dalla morte alla vita quando amiamo; perché «chi non ama dimora nella morte» (1 Gv 3,14). Se amiamo, Dio vive in noi come noi in lui. La nostra risposta d'amore lo fa abitare in noi come noi da sempre abitiamo in lui, che ci ama di amore eterno (Ger 31,3). Uno sta di casa nel cuore di chi lo ama. E l'amore stesso vive di reciprocità. Quando accogliamo l'amore del Signore, è Pasqua, festa di liberazione sua e nostra! Egli entra nel sepolcro delle nostre paure e ci dona la sua «pace», pienezza di ogni bene. Questa pace scaturisce dalle sue ferite. L'onnipotenza dell'amore si rivela nell'impotenza di mani inchiodate e di un cuore trafitto.

I discepoli «gioiscono»: queste ferite fanno «vedere il Signore». Segno indubitabile di un amore più forte della morte, mostrano che il Risorto è proprio lui, il Crocifisso. È una gioia che nessuno può rapire (Gv 16,23). La nostra pace e gioia trovano qui la loro fonte perenne. L'esperienza del suo amore per noi ci dà la nostra identità di uomini: siamo figli di Dio, amati dal Padre e dal Figlio con amore assoluto. In esso troviamo la nostra dignità: la nostra vocazione a essere amati e la nostra missione ad amare come siamo amati.

La gioia di scoprire il nostro nome di figli ci spinge, come il Figlio, in missione verso i fratelli: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Come lui, anche noi siamo inviati al mondo per testimoniare l'amore del Padre (Gv 3,16; 17,6.18.26). Per questo ci ha scelto (Gv 15,16) e si è identificato con noi (Gv 13,20). La relazione che c'è tra lui e il Padre è la stessa che c'è tra lui e noi. È come se dicesse: «Voi siete me, se fate ciò che io ho fatto a voi. Come io vi ho lavato i piedi e amato, così lavatevi i piedi e amatevi a vicenda; come io vi ho dato gioia e pace nel perdono, così anche voi date gioia e pace nel perdono». Torneremo in futuro sul tema del perdono: la riconciliazione è il fine di ogni missione (cfr Lc 24,47; 2Cor 15,14-6,2). Per questo ci è dato lo Spirito, che ci fa creature nuove!

Le ferite del Crocifisso risorto sono la sorgente di ogni vocazione e missione. Esse restano aperte anche dopo la risurrezione. Perché ognuno, come l'incredulo Tommaso, vi possa gettare il dito e la mano. E immergersi nello squarcio di sangue e acqua che l'ha generato. Tutti noi conosciamo la generazione «dal basso», della carne, che ci dà solo vita biologica. Ma c'è anche una generazione «dall'alto», dallo Spirito, che ci dà vita autenticamente umana. Una persona è tale se e nella misura in cui è amata: è generata dall'amore dell'altro, dalla ferita del suo cuore. Le ferite del Figlio si chiuderanno quando l'ultimo fratello vi sarà entrato per far festa con lui e il Padre. Per questo chi già è dentro e celebra l'eucaristia, conoscendo l'amore con cui è amato, è inviato ai fratelli. La messa è sempre missione! In essa Gesù chiede a noi, come al lebbroso guarito che lo ringrazia: «E gli altri, come te amati e salvati, dove sono?» (cfr Lc 17,17b).
© FCSF – Popoli, 1 aprile 2008