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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Azione o contemplazione? Un falso dilemma
Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio
(leggi Luca 6, 20-49)

È la seconda chiamata dei discepoli. Nella prima Gesù li chiamò ad andare dietro di lui per farne dei «pescatori di uomini» (Mc 1,16-20). Seguire Gesù è l'essenza del cristianesimo. Si segue uno perché lo si ama e si desidera essere con lui. Si abita dove sta con il cuore più che con il corpo. Chi ama porta dentro di sé l'amato e vuol dimorare con lui per diventare uno con lui, con lo stesso sentire e pensare, agire e vivere: il suo essere è essere dell'altro. Amare Gesù, il Figlio di Dio, ci fa come lui: figli del Padre e fratelli di tutti. Gesù ci pesca dall'abisso per darci il nostro nome di figli. Questa seconda chiamata ci fa scoprire il nostro vero nome di figli per comunicarlo poi ai fratelli.

Gesù, dopo averci chiamati a seguirlo sul lago, ora ci chiama sul monte. In solitudine, come a Mosè, ci rivela il nostro nome nel suo, la sua e nostra identità: la nostra vocazione che sarà nostra missione. «Chiamò quelli che volle» (= voler bene!). Al principio sta l'amore: Gesù chiama perché ama. «E fece i Dodici»: il suo chiamare è un fare. La Parola crea e ricrea tutto nuovo. I Dodici, come i patriarchi, sono la radice del popolo nuovo. In questi dodici ci siamo pure noi, tutti ugualmente chiamati, amati e rigenerati dalla Parola.

Fine della chiamata è essere con lui. Con lui, il Figlio, siamo noi stessi: figli di Dio. La nostra realtà è l'amore del Padre, che ci ama come ama il Figlio, e quello del Figlio, che ci ama come il Padre (Gv 17,23; 15,9). Senza di lui siamo ciò che non siamo: viviamo nell'inautenticità. Essere con lui, in compagnia del Figlio che è con noi, è la nostra identità presente e futura (cfr 1Ts 4,14): siamo chiamati e siamo realmente figli di Dio (1Gv 3,1). Si è con lui con gli orecchi per ascoltarlo, con gli occhi per guardarlo, con il cuore per amarlo, con i piedi per seguirlo, con le mani per agire come lui. Per questo dà orecchi che odono, occhi che vedono, cuore che ama, piedi che camminano e mani che toccano. L'ascolto della Parola, che si fa contemplazione e amore, sequela e azione, è il centro della nostra vita. Già nella prima comunità, tra le tante occupazioni, la scelta dei Dodici è quella di essere con lui, perseverando nella preghiera e nel servizio della Parola (cfr At 6,4).

Essere con lui, il Figlio, è principio e fine della missione ai fratelli, che consiste nel portare tutti a essere con lui. Nessuno può dare ciò che non ha. Solo se siamo con lui, siamo inviati agli altri, per annunciare la Parola che ci dà la libertà dal male e la nostra verità di figli. L'essere «inviati ad annunciare e a scacciare i demoni» (tema specifico della missione su cui torneremo), scaturisce dalla nostra comunione con lui: è frutto del tralcio unito alla vite (cfr Gv 15,1ss). Scriveva il gesuita Lallemant, maestro spirituale di tanti missionari nel Seicento: chi non è contemplativo, non faccia l'apostolo, se non per breve tempo e ad experimentum; altrimenti nuoce a sé e agli altri. Contemplazione o azione è una falsa alternativa. La contemplazione è sorgente di azione efficace. Essere con lui ed essere inviati sono come il moto di sistole e diastole, che tiene vivo il cuore dell'apostolo.

Nella lista dei Dodici una cosa sorprende: non troviamo nessuno che abbia studiato teologia o diritto. È gente qualunque. Pescatori e peccatori, collaborazionisti e guerriglieri. Una squadra impossibile, di persone incompatibili tra loro. Ciò che li affratella il peccato comune: il primo tradisce, l'ultimo rinnega e tutti gli altri fuggono (Mc 14,50). Ciò che li salva è l'«essere con lui». Il quale è sempre e comunque con loro - così come sono - con un amore più forte della morte. Infatti, non si vergogna di chiamarsi loro fratello (Eb 2,11).
© FCSF – Popoli, 1 gennaio 2008