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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
C'era una volta a New York
Corpi pallidi e magri, stipati come bestie,  soffocati, vestiti lisi e sporchi. Parlano tutte le lingue tranne l’inglese. I poliziotti strillano ordini e comandi rabbiosi. Alcuni di loro prendono mazzette e accordi con la malavita locale.
Nel mucchio e nella miseria, una ragazza si distingue dalle altre. Ha lo sguardo triste, ma colmo di speranza e bellezza. Siamo a Ellis Island, New York, anni Venti. È l’America dei migranti e dei poveri respinti o sfruttati, già evocata magnificamente da Emanuele Crialese nel suo capolavoro Nuovomondo (2006).
James Gray inquadra bene l’America dell’epoca e un universo in cui ogni cosa pare mossa - fin dalla prima scena - solo dal denaro e dal tornaconto economico. Chi non viene reimbarcato ha in sorte una forma di schiavitù moderna. Prostituzione e sfruttamento, nessuna via di fuga, vita propria o libertà. Il «sogno americano» finisce con l’arrivo in America.

L’immigrazione di Ewa (Marion Cotillard), una ragazza polacca nella New York di un secolo fa, è una storia segnata dalla realtà, estremamente attuale e richiama tanti sfruttamenti dell’Italia contemporanea (Paese che, per molti migranti odierni, non è nemmeno più «Lamerica»).
Bruno (Joaquin Phoenix) dice di volere aiutare Ewa, in realtà l’ha «comprata» dai poliziotti e la costringerà a prostituirsi. Orlando (Jeremy Renner), un mago e prestigiatore alla Houdini, s’innamora della ragazza. Solo l’innocenza, la purezza e la fede di Ewa, solo la grazia del mago si salvano dalla melma in cui perfino le persone care tradiscono.

Gray avvolge di fede cristiana il proprio racconto. La sua Maria Maddalena è resa in maniera straordinaria da Cotillard, mai stucchevole, sempre efficace. Spesso recita solo con uno sguardo carico di purezza.
Lo sfruttatore Bruno oscilla tra le ragioni del denaro e quelle del cuore. Ricorda per contrasto rispetto a Ewa quel passo del Vangelo di Luca (6,45), in cui si dice: «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori ogni bene, l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore». Bruno ricalca la figura del malvagio, eppure proprio l’affetto per Ewa pare riportarlo verso una dimensione umana. Sfrutta la ragazza e poi sembra innamorarsene, di un amore infine puro e sincero. È come accecato da una bellezza che non potrà avere.

Ewa conserva nella fede la propria forza salvifica. Riesce addirittura a «guarire» il proprio sfruttatore. «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano» (Lc, 5,32). L’unica ancora di salvezza per la ragazza è la propria fede incrollabile, lo sguardo rivolto al cielo, la preghiera e la speranza di riabbracciare la sorella chiusa in quarantena in una cella di Ellis Island e destinata al rimpatrio.

Gray cede a certi didascalismi assenti nelle sue opere precedenti (The Yards, I padroni della notte, Two Lovers). A tratti pare preoccuparsi un po’ troppo di omaggiare i maestri del neorealismo (De Sica, Rossellini), che ha studiato fin da ragazzo, e Charles Chaplin (il cortometraggio omonimo del 1917).
La fotografia, l’uso della luce e i protagonisti, però, danno una potenza straordinaria a molte sequenze del film. Su tutte: la scena della confessione, il volto di Ewa come inquadrato da una luce altra, e il pestaggio di Bruno da parte dei poliziotti nelle fogne. Nel buio e nei liquami, l’uomo trova forse una propria via di salvezza e riscatto, attraverso il sacrificio. Forse una maggiore «ruvidezza» e una minore perfezione scenografica di ricostruzione d’ambienti, di accenti e di lingue (nella versione originale, Cotillard parla spesso polacco), avrebbero giovato al film, presentato a Cannes e che sarà distribuito in Italia da Bim nella prossima stagione.


© FCSF – Popoli, 1 agosto 2013