Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Idee
Cerca in Idee
 
Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
Cella 211

Juan Oliver (Alberto Amman) è al suo primo giorno di lavoro come secondino in un carcere spagnolo di massima sicurezza. Si ritrova svenuto e solo, dentro la cella in disuso 211, dopo che un pezzo d’intonaco gli è caduto sulla testa. Una rivolta dei detenuti esplode proprio nel braccio in cui si trova bloccato Juan. Il ragazzo si risveglia appena in tempo per cancellare ogni segno della sua identità e si finge detenuto per salvare la pelle.
Si ritrova a pensare e sentire sempre più come i prigionieri, soprattutto nel momento in cui la repressione dei poliziotti esplode efferata sui parenti dei detenuti che protestano davanti alla prigione.
Il regista spagnolo Daniel Monzón adatta un romanzo di Francisco Pérez Gandul, Celda 211, ancora inedito in Italia. Realizza un film durissimo sulla (in)giustizia in carcere, girato nell’autentica ex prigione di Zamora, vicino alla frontiera con il Portogallo. Con Il profeta, potente film quasi contemporaneo di Cella 211, Jacques Audiard entra in prigione per concentrarsi sulla pura violenza di uomini abbrutiti, mettendo a fuoco una metafora del mondo al di fuori, ma lungo un solco nichilista, tra realismo e incubo a occhi aperti. Cella 211 è in qualche modo il «gemello diverso» di Il Profeta: si concentra sul microcosmo delle celle per rivelare un mondo dove quasi nessuno può dirsi migliore dei detenuti e inquadra l’incapacità del sistema-prigione di permettere la comunicazione e il dialogo tra le persone. La presunta espiazione prende così la deriva della tortura. Cella 211 evita messaggi stucchevoli, ma anche il pessimismo totalizzante e senza via di fuga di Audiard. Utilizza un misto di thriller e genere carcerario per concentrarsi sulla deriva del castigo più iniquo tra le sbarre, seguendo la lezione dei maestri Damiano Damiani (L’istruttoria è chiusa: dimentichi) e Nanni Loy (Detenuto in attesa di giudizio, entrambi del 1971).
Juan, al primo giorno da secondino, è costretto a imparare a comunicare con i carcerati solo fingendosi uno di loro, portando su di sé, ma soprattutto dentro di sé, i segni della violenza. Le facce di Cella 211, a cominciare dal carismatico Luis Tosar nel ruolo di Malamadre, capo della rivolta, sfregiano la nostra memoria. Oltre a Tosar, spiccano l’esordiente Amman (Juan) e il carcerato Apache, Carlos Bardem, fratello del più noto Javier. Otto premi Goya in patria, tra cui miglior film e migliore regia, anche se solo in una sezione minore al Festival di Venezia. Nelle sale dal 16 aprile, è uno dei drammi più originali e sofferti dell’anno. 

 

© FCSF – Popoli, 1 maggio 2010