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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Ciò che salva una vita
Nella speranza di riabbracciare presto padre Paolo, rapito in Siria il 29 luglio 2013, continuiamo la lettura dei suoi libri. Qui un brano tratto da Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto (a cura di G. Montjou, Paoline 2008).


L’ipotesi che si possa fallire la propria vita è drammatica.
E tuttavia non invalida in nessun punto l’amore che Dio ha per ognuno. Fallire la propria vita sul piano sociale, professionale, psicologico, relazionale, fisico non è grave, a patto che si riesca a cogliere, nello sguardo di qualcuno, la certezza che essa non sia fallita sul piano ontologico.

Se io cominciassi a credere che certe persone sono abbandonate da Dio, a ritenere il Creatore incapace di occuparsi di ognuno, a credere nella fatalità, se cedessi di un millimetro a questa logica, allora sarei io il primo a essere perduto. Senza contare che un Dio così non mi interesserebbe affatto...

Il vero, unico modo per fallire la propria vita è odiare l’amore di Dio. Si fallirebbe la propria vita se si pensasse che Dio è stupido ad ammazzarsi di fatica per cercarci, se ci si domandasse: «Perché, dopo tutto, questo Dio ama così tanto gli uomini (tanto da crearli, dare loro la libertà, la parola) e come fa a sopportare di essere ringraziato così malamente?». Se si lasciasse questa domanda senza risposta, finiremmo presto per odiare ciò che è buono e gratuito.
E qui si fallirebbe la propria vita. In caso contrario, si è catturati, condannati alla bontà.

02/09/2014