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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Fede e martirio
«...lo lapidavano (…) e posero i mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo» (leggi Atti 6,8-15; 7,55-60)

Stefano è uno dei sette diaconi. Scelti per servire alle mense dei poveri, sono pure a servizio della Parola come gli apostoli. Sono loro a portare il Vangelo fuori Gerusalemme. Chiunque incontra Gesù diventa «apostolo», inviato ad annunciare quanto il Signore ha fatto per lui e la misericordia che gli ha usato (Mc 5,19).
Martire significa testimone. Stefano è il primo che testimonia la fede con la vita. Il martirio del Battista è in differita. Il suo, come quello di Gesù, è in diretta. La tradizione cristiana si compendia nel «corpo di Gesù dato per noi» (1Cor 11,23s). In esso si realizza ogni promessa: Dio stesso si dona a noi.
Stefano è la tradizione viva. In lui continua la storia di Gesù. Egli, come il suo Maestro e Signore, testimonia un amore più forte della morte. Il suo morire è dare la vita per fratelli che lo uccidono. Il suo volto, trasfigurato dalla Parola che incarna, è presagio di risurrezione. Siamo al cuore del Vangelo.
Il suo martirio è il culmine del cristianesimo primitivo. Il dono che fa di sé completa la testimonianza a Gerusalemme. È anche seme fecondo, da cui germoglierà Paolo, apostolo delle genti. La Chiesa nasce dal sangue dei martiri. La nostra non è una religione fatta di leggi, dottrine o liturgie. È una persona! Non il Papa o il capo carismatico, ma Gesù. Cristiano è chi ama Gesù e tutti i fratelli, lontani e vicini, più della propria vita.
L’umanità è riscattata dai martiri: in un mondo senza valore, per loro la vita vale davvero la vita. Essi ci ricordano la sapienza cristiana. Anche le migliaia di cristiani uccisi nel 2012 - «dal» potere e non «per» il potere! - mostrano che solo la croce di Gesù rivela Dio e salva l’uomo. Tutta la sapienza di Paolo si compendia in Gesù crocifisso (1Cor 2,2). La sua evangelizzazione mira a «dipingerlo davanti agli occhi» degli ascoltatori (Gal 3,1). Contemplare il suo amore incondizionato ci porta a rispondere all’amore con l’amore: «Questa vita nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).
Il quinto Vangelo è ciascuno di noi. Dice Paolo: «Voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (2Cor 3,3).
La vita o la si dona o la si perde: «Chi vuol salvare la propria vita, la perderà; chi invece perderà la sua vita per me, la salverà» (Lc 9,24). Tutti siamo chiamati al martirio. È per lo più incruento. Consiste nel portare «ogni giorno la croce» (Lc 9,23) di una vita a servizio degli altri. La forza ci viene dall’eucarestia, dove Gesù ci comanda: «Amatevi come io ho amato voi».
Ci sono stati e ci saranno sempre martiri uccisi «per il nome di Gesù». Ma ci sono pure altri che, «come Gesù», sono uccisi per difendere i poveri. Infine ci sono quelli che, senza conoscerlo, «sono Gesù». Sono quella moltitudine di uomini che vivono in modo disumano per colpa altrui. In quest’ingiustizia noi cristiani abbiamo un’alta quota di partecipazione. Questa «massa dannata» sono «l’Agnello di Dio che porta su di sé il male del mondo». Sono «il Servo sofferente di Jahweh», «il Cristo crocifisso», centro della nostra fede, luogo teologico di ogni riflessione che si possa chiamare cristiana. Da sempre, e oggi in modo più evidente, la nostra salvezza viene da loro. Con questi si è identificato il Signore. Ciò che facciamo all’ultimo di loro, lo facciamo a lui stesso (Mt 25,40.45).



© FCSF – Popoli, 1 febbraio 2013