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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
Fratellastri d’Italia
Il 17 marzo si festeggia il 150° anniversario della nascita dello Stato italiano. Non so con quali sentimenti parteciperanno alle celebrazioni quel milione circa di figli di immigrati stabilmente residenti nel nostro Paese: per l’esattezza, 933.000 minori a fine 2009, secondo il Dossier statistico Caritas-Migrantes, più un certo numero di ragazzi e ragazze ormai giunti alla maggiore età, spesso attivi nella rete G2 o in altre iniziative promosse dai giovani di seconda o terza generazione.
Dopo che la Grecia, circa un anno fa, ha modificato la sua normativa sull’acquisizione della cittadinanza in senso più liberale, l’Italia è rimasta il Paese con la legislazione più restrittiva tra quelli della vecchia Europa a 15: per diventare italiano, un figlio di genitori immigrati non comunitari deve essere nato in Italia, risiedere ininterrottamente sul territorio fino alla maggiore età (non può uscire per più di tre mesi), ed entro il diciannovesimo anno di età può presentare la domanda di naturalizzazione. Se è arrivato dopo la nascita, oppure è stato riportato nella sua madrepatria «virtuale» (in realtà quella dei genitori) per essere accudito dai nonni durante l’infanzia, deve seguire la trafila degli adulti: dieci anni di residenza, un’attesa che dura altri anni, una risposta dell’autorità, discrezionale e spesso negativa. Oppure deve sposare un italiano o un’italiana, la via più facile per ottenere la sospirata cittadinanza.
In generale, molti Paesi occidentali prevedono la cittadinanza alla nascita, o in maniera automatica (Stati Uniti, Canada), o almeno quando i genitori sono legalmente residenti da un certo numero di anni (otto, per esempio, nel caso tedesco); garantiscono inoltre percorsi facilitati di accesso per chi, pur non essendo nato sul territorio, vi ha frequentato un certo numero di anni di scuola.
Festeggiare l’unità nazionale dovrebbe essere l’occasione per declinare al futuro l’italianità, aprendo gli occhi sul fatto ineludibile per cui gli italiani di domani, di fatto, potranno essere anche di colore, musulmani, con gli occhi a mandorla. Uno sguardo rivolto all’indietro non prepara la strada a una società più coesa e armoniosa. Citando il cardinal Martini, è difficile sentirsi figli nella casa dei doveri se si è orfani nella casa dei diritti.
© FCSF – Popoli, 1 marzo 2011