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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Halabja
Tre monaci vanno pellegrini alla città martire curda, vittima del bombardamento chimico di Saddam nel 1988.
In settembre avevo visitato Monte Sole, dove Dossetti è sepolto nel piccolo cimitero delle famiglie contadine trucidate dai nazifascisti. Alla stazione di Bologna mi pare di sognare: un gruppo di curdi in costume nazionale! Mi avvicino e mi presento: infatti, dopo Deir Mar Musa, stiamo fondando una comunità a Sulaymaniya, nel Kurdistan iracheno.
È una delegazione in visita a Marzabotto e vengono da Halabja, la città decimata dalle bombe al nervino e al gas mostarda del dittatore di Baghdad. Da anni si è sviluppata un’empatia tra le due contrade, teatro della violenza più indiscriminata. Foto, abbracci, scambi di indirizzi…
Comincio al telefono in inglese per correttezza, poi passiamo all’arabo (il curdo ancora niente): «Sig. Nizar? Ci siamo visti in Italia…». «Allora domani andiamo insieme; è a un’ora di macchina».
Il quadro naturale è maestoso: magnifiche montagne, già innevate il primo di dicembre, fanno da confine con l’Iran. Era iraniano il fotoreporter che è arrivato sul luogo mentre i gasati, tutti civili, ancora rantolano… C’è anche una molto degna ricostruzione plastica delle scene e tu passi lì in mezzo, stralunato. Pensi a Pompei, alle trincee della Grande Guerra, all’aggressione italiana all’Etiopia del ’36, alle camere a gas dei lager. Grandi orridi scenari… Ma qui è una cittadina di provincia con tanti alberi di melograno e le casette dei contadini con gli animali in cortile. Il bimbo è morto accanto al gatto e alla capretta. Gli uomini al fronte; sono stati soprattutto i piccoli, le mamme e i nonni a essere puniti in massa: cinquemila vittime e una marea di ammalati (come chiamare gli invalidi permanenti provocati dalle armi chimiche?).
Questo luogo trascende la ben giusta rivendicazione nazionale curda. La gente degnissima di qui rappresenta con semplicità sorridente una pietà ferita universale. Ne parliamo con un signore alla mano, direttore del museo. È andato anche in Giappone per dire no alle armi di distruzione di massa.
Intanto in Siria la comunità onusiana ha accumulato tutti gli errori, permettendo la distruzione dal cielo di mezzo Paese… L’ambito del confronto militare è spazio per progetti estremisti armati; i democratici sono marginalizzati. Il regime cadrà, ma prima è possibile che non resista alla tentazione d’usare le armi chimiche. Forse il mondo, terrorizzato dall’alternativa islamista e dall’effetto domino regionale, si volterà ancora dall’altra parte.


© FCSF – Popoli, 1 gennaio 2013