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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
I gatti persiani

Il rock‘n’roll è proibito in Iran. Non sembra cambiato quasi niente da quando, negli anni Settanta, Marjane Satrapi, ancora bambina e prima di rifugiarsi in Europa, doveva ricorrere al mercato nero per procurarsi un disco degli Abba (Persepolis, ed. Lizard). Anzi, chi viene sorpreso a suonare musica illegale e ritenuta diabolica finisce direttamente in carcere. Le band «carbonare» allora si ritrovano nelle cantine lontane da tutti, in attesa che il vicino delatore esca di casa. Suonano sui tetti dei palazzi, spesso ancora in costruzione. Si uniscono persino nella campagna più distante, a fare hard rock in una stalla melmosa tra puzza di letame e mucche che guardano perplesse.
Bahman Ghobadi (autore di Il tempo dei cavalli ubriachi) inquadra due giovani musicisti indie rock, appena usciti di prigione dopo essere stati trovati a suonare. Uno dei due ha l’aggravante di essere femmina. La coppia tenta di formare una nuova band clandestina, sognando l’Europa.
Ghobadi registra un bellissimo documento sul desiderio di libertà, racconta la realtà attraverso la fiction audiovisiva: unisce videoclip a frammenti di cronaca e, benché gli attori protagonisti spesso siano giovani che interpretano le proprie esperienze, c’è una sceneggiatura definita. Mette a fuoco tutti i paradossi più atroci con cui devono combattere i ragazzi di Teheran, l’amore-odio per la propria terra e l’impossibilità di restarci senza snaturare la propria identità. Dà forma di «cinema» alle tracce reali e potenti lasciate dalle band iraniane che immaginano la libertà e suonano i generi più diversi dal folk all’hard rock, dall’indie all’hip-hop. Emergono così tutte le declinazioni dell’assenza di libertà.
Brevi canzoni e piccoli videoclip sull’Iran di oggi che differisce di poco da quello di ieri. I rocker suonano nell’ombra, cercando di non fare troppo rumore. I rapper sfogano i propri versi di rabbiosa poesia dentro un palazzo in costruzione senza che possa sentirli nessuno. Eppure la musica e le parole circolano in rete, si muovono grazie agli scambi di cd tra amici, alle feste clandestine, e raggiungono una gran numero di persone, nonostante il regime di Ahmadinejad e le sue prove di forza.
Le scene hard rock suonate in mezzo al letame spesso provocano nello spettatore sorrisi a denti stretti: l’elemento di commedia dell’assurdo nasce da una tragedia troppo presente. Premiato lo scorso anno a Cannes, distribuito da Bim, è arrivato in aprile nelle sale italiane. Il titolo allude al divieto di portare cani e gatti al di fuori dalle proprie case, con chiaro riferimento alla musica dei protagonisti. Nessuno può essere libero e randagio, molto difficile trovare il proprio posto nell’Iran di oggi. 

 

© FCSF – Popoli, 1 giugno 2010