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Lettere da Strasburgo
Rosario Sapienza
Ordinario di Diritto internazionale e Diritto dell'Unione europea nell'Università di Catania
I medici italiani a Strasburgo

Le tormentate vicende professionali dei medici ospedalieri italiani sono arrivate a Strasburgo. Lo scorso 4 febbraio, infatti, sono state pubblicate due decisioni rese da una camera della seconda sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, rispettivamente nei casi Mottola e altri contro Italia (ricorso n. 29932/07) e Staibano e altri contro Italia (ricorso n. 29907/07), casi entrambi sollevati da medici che, tra il 1983 e il 1997, lavorarono al Policlinico dell'Università Federico II di Napoli con contratti a tempo determinato in regime di attività professionale remunerata a gettone. Essi vennero poi assunti con contratti a tempo indeterminato.

Così, nel 2004, gli attuali ricorrenti chiesero al Tar il riconoscimento dell'esistenza di un rapporto di lavoro continuativo con l'università al fine di assicurarsi i corrispondenti diritti di sicurezza sociale. Ma, contrariamente a quanto era accaduto in precedenza a loro colleghi che si trovavano nelle medesime condizioni, i loro ricorsi vennero respinti, perché nel frattempo la giurisdizione era passata al giudice del lavoro a motivo del decreto legislativo 165 del 30 marzo 2001. Un termine di prescrizione fissato in tre anni impedì loro di ottenere infine giustizia.

La Corte ha accolto le loro doglianze, riconoscendo sia che non avevano avuto accesso a un tribunale per ottenere il riconoscimento dell'esistenza di un rapporto di pubblico impiego tra loro e l'Università di Napoli, ma anche che, in conseguenza di ciò, erano stati deprivati del pertinente regime pensionistico. Ne era dunque conseguita la violazione non solo dell’articolo 6 della Convenzione, in tema di equo processo, ma anche dell'articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione, articolo che protegge il diritto all’indisturbato godimento dei propri beni e che dunque era stato violato perché i ricorrenti erano stati privati del bene pensione. La Corte si è poi riservata di decidere in relazione ai profili del risarcimento dovuto dallo Stato ai ricorrenti.

Di queste decisioni della Corte ci si è rallegrati in Italia, vedendo in esse una importante spinta verso più elevati livelli di tutela dei diritti nel nostro Paese.

Al riguardo è però necessaria una precisazione. Le decisioni della Corte non derivano da una speciale attenzione ai problemi italiani, della classe medica o di altre professioni, né da sfiducia nei confronti del modo in cui l’amministrazione italiana organizza e gestisce le carriere dei medici. Al riguardo, può ricordarsi ad esempio che circa un anno fa (per l’esattezza il 2 aprile 2013) un’altra camera della stessa sezione decise il caso Tarantino e altri contro Italia (ricorsi nn. 25851/09, 29284/09 e 64090/09), stabilendo che non era stata violata la Convenzione a motivo dell’esclusione dei ricorrenti dai corsi di medicina a numero chiuso, dato che a fondamento dei provvedimenti introduttivi del numero chiuso nelle facoltà di medicina stavano considerazioni di interesse pubblico. E ciò non dipende certo da scarsa considerazione per gli aspiranti studenti di medicina.

La Corte, è opportuno ricordarlo, decide solo se i parametri che la Convenzione fornisce sono violati nel caso di specie e rende la sua decisione solo con riferimento a quei parametri. Non è né vuol essere una quarta istanza di giudizio (dopo le due di merito e la «terza» di legittimità) e nemmeno pretende di sostituire la propria valutazione a quelle rese dai giudici nazionali in materia di accertamento dei fatti o di interpretazione del diritto interno. Il suo è un giudizio «altro» rispetto alla vicenda processuale interna, che interviene quando essa si è ormai conclusa, anche se su di essa poi influisce ed è destinato a influire in maniera sempre più incisiva. Di ciò conviene sempre tenere conto nel leggere e commentare le decisioni della Corte.

 


10/02/2014