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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
I morti di Prato e noi
1 dicembre 2013, sette morti in fabbrica, un incendio che non lascia vie di scampo. Una notizia tragica ma non nuova. Solo che questa volta sono cinesi e il dramma esplode a Prato, un crocevia emblematico delle tensioni interetniche, del vitalismo economico e delle contraddizioni sociali associate all’immigrazione cinese (304mila residenti in Italia nel 2012, secondo l’ultimo Dossier Immigrazione).

I commenti associano la memoria delle fabbriche ottocentesche e la moderna schiavitù degli operai cinesi, le proteste per lo sfruttamento e la deprecazione della mancanza di controlli. Proviamo per quanto possibile a fare chiarezza. Anzitutto, è vero che le ispezioni sui luoghi di lavoro sono carenti e il lavoro nero è ampiamente tollerato in Italia. Ma la fiacca volontà politica nei confronti del fenomeno riguarda il sistema economico complessivo e dunque le imprese italiane. Solo nella loro scia si inserisce il fenomeno cinese. E in uno Stato democratico non si possono invocare più verifiche soltanto a carico dei cinesi, esonerando gli imprenditori nazionali.

In secondo luogo, i cinesi di Prato lavorano per il cosiddetto «pronto moda» del made in Italy. I loro prezzi tirati all’osso, i loro ritmi forsennati, le loro consegne in tempi strettissimi, contribuiscono al successo della moda italiana nel mondo.

In terzo luogo, non si tratta di schiavi. Come ha dichiarato all’agenzia Redattore sociale Matteo Ye Huiming, mediatore culturale a Prato ed ex bambino-operaio in una fabbrica-dormitorio, «non è vero che c’è schiavitù nelle fabbriche dei cinesi, giacché non sono strutture blindate dove i lavoratori non possono uscire, i lavoratori cinesi sono consapevoli di quello che fanno e lo decidono autonomamente, senza essere costretti». Semmai, aggiunge, «è il sistema economico che li costringe a lavorare venti ore al giorno. Non hanno alternative: o lavori o perdi il lavoro».

Da ultimo, occorre superare certi stereotipi. Una ricerca presentata in ottobre durante un convegno nella città toscana (Berti, Pedone e Valzania, Vendere e comprare. Processi di mobilità sociale dei cinesi a Prato) ha documentato l’importanza dei cinesi a Prato come clienti e consumatori. «Per fortuna vendiamo a cinesi», diceva il titolo del convegno, riprendendo le parole di un commerciante italiano del luogo.

© FCSF – Popoli, 9 gennaio 2014