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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
I paradossi dell'occupazione
Quando si parla di immigrati e lavoro in questi lunghi anni di crisi economica, quasi sempre l’accento viene posto sull’aumento della disoccupazione e della povertà tra i lavoratori di origine straniera. Il problema esiste, e gli sbarchi dalle coste nordafricane, sebbene numericamente esigui rispetto ai numeri complessivi, lo hanno drammatizzato nell’immaginario collettivo. Secondo i dati Istat, ripresi dalla Fondazione Leone Moressa, il 42% delle famiglie immigrate vive al di sotto della soglia di povertà.

La notizia che sorprende tuttavia è un’altra: durante la crisi è aumentata notevolmente anche l’occupazione degli immigrati. Comparando i dati del periodo pre-crisi con quelli del 2012, un recente studio della Fondazione Gorrieri (pubblicato da Il Mulino) ha osservato che gli occupati italiani sono diminuiti di oltre un milione, mentre gli occupati stranieri (regolari) sono cresciuti di oltre il 40%, passando da 1,6 a 2,3 milioni. In termini di incidenza sull’occupazione complessiva, il loro peso è cresciuto da meno del 7% a circa il 10%. Se aggiungiamo che le rilevazioni statistiche non considerano il lavoro stagionale e i lavoratori coabitanti con i datori di lavoro (ossia sostanzialmente le assistenti familiari, dette volgarmente badanti), oltre ovviamente al lavoro non registrato, il contributo occupazionale degli immigrati sembra essere ancora maggiore. Nell’ultimo anno si è verificato un rallentamento, ma il dato inaspettato è che comunque l’occupazione degli immigrati ha continuato ad aumentare.

Due fattori contribuiscono a spiegare questo andamento paradossale. Il primo è la crescente segmentazione del mercato del lavoro italiano: la crisi non solo ha distrutto posti di lavoro, ma ha anche prodotto occupazione scarsamente qualificata e instabile, per esempio lavoro di assistenza in ambito familiare. Il secondo fattore è la debolezza sociale degli immigrati. Perlopiù sprovvisti di risparmi e di appoggi familiari (per esempio, le pensioni dei genitori), con figli piccoli a carico, sono obbligati a un grande attivismo nella ricerca di nuovi lavori, senza troppo badare a condizioni, orari, qualità. Così, i loro tempi di disoccupazione sono mediamente più brevi di quelli degli italiani, ma il passaggio da un lavoro precario all’altro è frequente, mentre la qualità del lavoro ristagna o addirittura peggiora. L’aumento dell’occupazione ci parla del loro bisogno e della loro tenacia, contraddice il miserabilismo, ma getta anche una luce inquietante sulle dinamiche dell’economia italiana di questi anni.



© FCSF – Popoli, 23 novembre 2013