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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
I sapori forti di Singapore
Cosa si cucina in un Paese che non è un Paese? In una megalopoli estesa su sessanta isole dove la metà della popolazione viene da altrove? Dove si festeggiano il capodanno cinese e quello occidentale, il diwali induista e la festa tamil-hindu del thaipusam, ma anche il ramadan, il timiti con i devoti che camminano sui carboni ardenti, e il compleanno del Buddha Sakyamuni, il Natale cristiano e il Venerdì santo? Uno Stato con quattro lingue nazionali (inglese, cinese mandarino, malese e tamil) e un equilibrio etnico sempre precario. Una città-Stato equivoca anche sul nome perché «singapura», la città dei leoni, di leoni non ne ha mai avuti. Più interessata ai commerci che agli animali mitici (anche se fu appunto un leone ad apparire al principe di Sumatra scampato a un naufragio, convincendolo a fondare la città in quel luogo), Singapore è divenuta il crocevia economico del Sud-Est asiatico quando, nel 1819, sir Thomas Stamford Raffles la affidò alla Compagnia inglese delle Indie orientali. Passata la breve parentesi della seconda guerra mondiale, quando i giapponesi la conquistarono, arrivando in bicicletta dalla terraferma mentre gli inglesi controllavano il mare, Singapore è diventata una grande Disneyland (ma con leggi severissime), il paradiso degli affari. E del cibo.

Negli hawker centres, le tettoie sotto le quali il governo organizza i venditori ambulanti, o nelle food courts, la versione più confortevole, i singaporeani possono scegliere tra cucina peranakan nonya, di origine cinese, e malay, quella indiana, che servono granchi al peperoncino, popiah (involtini primavera), piccoli pesci secchi (ikan bilis) con noccioline o germogli di fagioli, zuppa di maiale con spezie e aglio, pollo in latte di cocco, banana in pastella fritta (pisang goreng), noodles di uova con sugo piccante e dolce, testa di pesce al curry. E via dicendo. Ci si perde tra i germogli di bambù, i funghi secchi cinesi, il cocco, la radice aromatica galangal (alpinia galanga), il garam masala, spezie indiane, il cavolo salato e messo in mostarda, le salsicce cinesi al vino di rosa. E poi l’aceto di riso e la salsa di soia, l’anice stellato.

Sull’«isola alla fine della terra», la cucina (celebrata nel Singapore Food Festival di luglio) è varia come la sua gente.
Anna Casella Paltrinieri


La ricetta
SINGAPORE ROJAK, VERDURA E FRUTTA PICCANTE

Mettere in una ciotola mezzo cetriolo tagliato a pezzi, un piccolo bangkuang (pachyrhizus erosus o patata messicana), 200 g di kangkung (ipomoea aquatica o spinacio d’acqua) tagliato in strisce, bollito in acqua per un minuto, 60 g di germogli di fagioli scottati per dieci secondi in acqua, risciaquati e asciugati, due fette di ananas, un mango verde, due youtiao (bastoncini di pasta fritta), un pezzo di zenzero selvatico. Preparare la salsa con due o tre peperoncini larghi rossi, senza semi, un cucchiaio da tavola di zucchero di palma (gula melaka), un cucchiaino di pasta di gamberi secca tostata (belacian), due cucchiai di polpa di tamarindo bagnata in acqua e strizzata per ottenerne il succo, un cucchiaio di pasta di gamberi nera (hay koh), 75 g di noccioline crude. Tritare nel frullatore e salare quando è una pasta omogenea. Versare sull’insalata già preparata e servire immediatamente.



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