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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
Il cammino comune con le famiglie immigrate

Dal 12 al 15 settembre si è svolta la 47ª Settimana Sociale dei cattolici italiani. Pubblichiamo la sintesi dei lavori del gruppo focalizzato sul tema dell'immigrazione, gruppo coordinato dal nostro collaboratore Maurizio Ambrosini.


Sintesi gruppo 6 - Il cammino comune con le famiglie immigrate

Il titolo di questa assemblea tematica è subito apparso come una sfida e un compito. Gli immigrati  e le loro famiglie sono sempre più presenti nella nostra vita quotidiana, tra noi e con noi. Eppure molto spesso non li vediamo, non li riconosciamo come co-protagonisti della nostra vita in comune. Nel dibattito sono emersi cinque punti problematici.

Un primo nodo problematico deriva dal fatto che le comunità ecclesiali sono immerse in un contesto in cui il pregiudizio  e a volte l’ostilità verso gli immigrati sono profondamente radicati. Anche i credenti subiscono l’influenza di un clima culturale e mediatico avverso. Benché sia stato notato un miglioramento del discorso politico nazionale negli ultimi anni, persiste una difficoltà sia a livello locale, sia negli atteggiamenti culturali diffusi. Non di rado la chiesa italiana viene accusata, anche da cattolici, di fare troppo per gli immigrati e le loro famiglie.

Un secondo nodo consiste nel passaggio dal codice del parallelismo a quello della reciprocità: le comunità ecclesiali e le comunità immigrate, anche cattoliche, vivono fianco a fianco, sostanzialmente separate.  Comunicano ancora poco. Un dato emblematico: nei consigli pastorali parrocchiali e diocesani, anche di grandi diocesi, le persone di origine immigrata sono rarissime.

Un terzo nodo consiste nel passaggio dal codice del soccorso al codice della convivialità. Molto dell’impegno dei credenti va verso l’aiuto nel bisogno, tra l’altro ancora più pressante in questo tempo di crisi.  Ancora poco sviluppato, malgrado esperienze positive, uno scambio paritario, un “sedersi insieme a tavola”, condividendo iniziative e progetti, spazi e momenti di socialità quotidiana.

Un quarto nodo consiste nel passaggio da un orizzonte locale a un orizzonte nazionale.  Serve maggiore impegno nella raccolta e  comunicazione delle buone pratiche, nella loro disseminazione, nel passaggio da buone azioni locali a paradigmi e progetti nazionali, diffusi su tutti i territori.  L’accoglienza e la convivialità sono chiamate a diventare cultura, e in senso lato buona politica: cambiamento della qualità della vita associata nella polis.

Un quinto nodo tocca  lo sfruttamento e l’ipocrisia. Ci sono famiglie italiane cattoliche praticanti che sfruttano gli immigrati e le immigrate: nelle loro case, nei campi, nel lavoro. Altre li fanno oggetto di pregiudizi volgari e insultanti.  Né va trascurato lo sfruttamento nel grande mercato del sesso: tra i clienti, quanti saranno i cattolici praticanti, mariti e padri di famiglia?

Veniamo alle opzioni. Anche queste sono cinque. La prima, molto sottolineata, riguarda l’esigenza di  superare l’ignoranza e i luoghi comuni.  Occorre sviluppare sensibilizzazione e formazione, anche grazie alle risorse di Caritas, Migrantes e altri soggetti ecclesiali. D’altro canto, è stato rilevato che l’ignoranza della propria tradizione religiosa concorre a produrre l’incapacità di conoscere e dialogare con la diversità.

La seconda opzione può essere definita cogliere il kairós: la presenza di famiglie immigrate come occasione profetica (card. Martini),  per conoscere altre religioni e altri universi culturali, come vettore di apertura alla mondialità, di comprensione di alcuni nodi critici della società  globale, di alimentazione di progetti e gemellaggi.  Rappresenta una vivente opportunità di catechesi della diversità che si raccoglie sotto la croce: della vibrante polifonia cattolica.

La terza opzione si rivolge a progettare un futuro con loro, non solo per loro. Qui entra in gioco il tema dell’accesso alla cittadinanza e della partecipazione attiva alla vita sociale, anche nel volontariato e nel servizio civile, abolendo le barriere normative che lo impediscono. Tra le indicazioni, quella di ridefinire questi nostri incontri come “Settimane sociali dei cattolici in Italia”.

Una quarta opzione concerne la  cura dell’identità:  il cammino comune con le famiglie immigrate richiede che approfondiamo la nostra identità culturale ed ecclesiale di cattolici che vivono in Italia. Nello stesso tempo, sollecita le famiglie immigrate a coltivare una propria identità culturale di credenti, cattolici, cristiani di altre denominazioni, non cristiani:  soggetti che mettono in comunicazione mondi culturali diversi. Coppie e famiglie miste sono a loro volta un luogo prezioso di scambio e di ricerca di orizzonti condivisi. L’incontro tra persone e famiglie di origine diversa  impegna tutti al dialogo e alla ricerca di valori comuni.

Una quinta opzione è quella dell’accoglienza reciproca. L’aiuto nel bisogno e la solidarietà verso chi fa fatica sono valori fondamentali, ma altrettanto importante è sviluppare relazioni paritarie e vera amicizia nella vita di ogni giorno. Un’indicazione al riguardo è quella di progetti locali in cui le famiglie del territorio si impegnano ad accostare e  accompagnare le nuove famiglie che arrivano in un cammino di insediamento, di mutua conoscenza e aiuto reciproco.


Veniamo infine ai soggetti del cammino comune che intendiamo costruire. Di nuovo sono cinque.

Le famiglie migranti stesse, cattoliche in primo luogo. Storicamente, il riscatto degli esclusi è stato conquistato soprattutto dagli esclusi stessi, dalla loro capacità di aggregarsi, di diventare protagonisti, di costruire alleanze e nuove visioni. Abbiamo bisogno di più protagonismo delle famiglie migranti, a livello ecclesiale come a livello civile.

Le famiglie italiane. Sono i soggetti che nel quotidiano sono chiamate a costruire ponti e piazze, nuove agorà: luoghi in cui sia possibile lo scambio, l’incontro, la collaborazione. Famiglie chiamate a uscire dall’indifferenza, dalla paura, dall’autosufficienza, per vedere nei nuovi vicini di casa i compagni di strada: impegnati insieme nella costruzione di una chiesa e di una società più fraterne e arricchite dall’incontro tra diversi.

Le comunità ecclesiali.  La richiesta è quella di essere più severe verso il pregiudizio e l’incoerenza. Di aprire le porte ai nuovi parrocchiani, di far loro posto nella vita comunitaria. Nello stesso tempo, di ascoltare il disagio degli italiani che si sentono minacciati dall’arrivo delle famiglie immigrate, deprivati di qualcosa a causa della solidarietà verso chi arriva da lontano.

Gli operatori della comunicazione. Qui la domanda riguarda anzitutto una “purificazione del linguaggio”, delle rappresentazioni degli immigrati e delle loro famiglie. La lotta contro il pregiudizio e l’esclusione carica di responsabilità i soggetti della comunicazione, e richiede il coinvolgimento di chi riveste ruoli influenti nello spettacolo e nello sport.

Le istituzioni politiche e religiose. Sappiamo quanto il tema dell’immigrazione sia stato politicamente sfruttato in questi anni. Abbiamo bisogno di un deciso salto di qualità nella comprensione e nel governo di questo fenomeno globale. Proprio l’accoglienza delle famiglie e delle nuove generazioni può aiutare a superare paure e pregiudizi. Chiediamo alle istituzioni ecclesiali ai vari livelli, seguendo l’esempio di papa Francesco, di far sentire alta la propria voce nella difesa dei valori evangelici dell’accoglienza. Sia la nostra chiesa profezia convinta e coerente di una società più giusta, fraterna, accogliente per tutti.

1 ottobre 2013