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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
Il concerto

Come nei precedenti Train de vie e Vai e vivrai, l’ebreo romeno francesizzato Radu Mihaileanu affonda le radici della sua nuova commedia, Il concerto, dentro la Storia. Il film, nelle sale dal 5 febbraio, si ispira all’epurazione dei musicisti ebrei del teatro Bolshoi voluta da Brežnev, nell’Urss negli anni Settanta. Per il leader sovietico la «colpa» principale dei musicisti ebrei era quella di non rincasare quasi mai nell’amata madrepatria dopo le tournée all’estero. Mihaileanu immagina quello che potrebbe succedere oggi se un ex direttore d’orchestra, Andrej Filipov, silurato per avere difeso i propri orchestrali e ora addetto alle pulizie, rubasse un fax destinato al nuovo direttore del Bolshoi. Il fax è una proposta di concerto del teatro Châtelet di Parigi, un biglietto verso il sogno. Come i Blues Brothers, Elwood e Jake, «in missione per conto di Dio», anche Filipov recluta tutti i musicisti (superstiti) di allora, quelli con cui stava per toccare le corde del sublime con una reinterpretazione del Concerto in re maggiore n. 35 per violino e orchestra di Ciajkovskij, interrotto per sempre dagli emissari di Brežnev.
Filipov è determinato a organizzare il «giusto» concerto che non riuscì mai a portare a termine trent’anni fa, prima di annegare la memoria e il dolore nella vodka. Assolda gli ebrei sopravvissuti, per la maggior parte litigiosi e rumorosi, recluta alcuni tzigani bravi e inaffidabili. Ingaggia perfino il «compagno» che eseguì impassibile gli ordini di Brežnev (perché sa il francese). Le uniche richieste della rissosa band, finto Bolshoi, sono: la migliore violinista francese Anne-Marie Jacquet (Mélanie Laurent, brava quanto bella), come primo violino, una diaria di cento euro e una cena in un ristorante in cui avevano mangiato bene, in tournée trent’anni prima, e che oggi non esiste più. «Sono rimasti ai tempi dell’Unione?!», esclama perplesso il manager dello Châtelet (François Berléand).
Dopo la storia degli ebrei falasha e la carestia etiope del 1984, narrate in Vai e vivrai, Mihaileanu sa raccontare attraverso l’immaginazione un’altra pagina poco conosciuta della Storia. Mostra una Russia litigiosa, ma piena di cuore, almeno tra gli umili, oggi assoldati dai mafiosi o dagli oligarchi del gas per rendere più affollati i loro matrimoni sfarzosi e kitsch. Mihaileanu mescola Lubitsch con Chagall, John Landis con Prova d’orchestra di Fellini e uno stile personale e unico, gonfio allo stesso tempo di umorismo yiddish e tocco mélo. Generoso, eccessivo, magnifico. Ha uno sguardo pieno d’amore per gli esiliati, i perdenti e gli ultimi del mondo. Riconcilia con la vita e con la bellezza armonica, quella che può nascere miracolosamente dai caotici e dai chiassosi. 

 

 

© FCSF – Popoli, 1 marzo 2010