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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
Il mondo perduto degli eschimesi
Pochi popoli al mondo sono così ammirati e così sconosciuti come gli eschimesi. A partire dal termine popolare e fantasioso con il quale sono definiti: «mangiatori di carne cruda», che rimanda all’eterna diatriba tra chi sa cuocere il cibo (e, dunque, è «civile») e chi invece, si limita a consumarlo come natura lo offre. O anche «fabbricanti di racchette da neve», nome dato dai vicini incapaci di concepire un popolo che si ostina a vivere in un ambiente così inospitale, tra ghiaccio e sassi. Ambiente nel quale è la pietra, essenziale, nuda, eppure viva a dare l’immagine dell’eternità. Come scrive Onfray: «Prima del tempo, quando non c’è nulla a offrire punti di riferimento, quanto tutto esclude l’archeologia o la genea­logia, è l’assoluto trionfo della pietra» (M. Onfray, Estetica del Polo Nord, Ponte alle Grazie, 2011, p. 11).

Terre estreme nelle quali solo l’inukshuk, l’immagine megalitica dell’uomo, conforta il viaggiatore che va per mare indicandogli il villaggio dove approdare. Loro, gli inuit, cioè gli «uomini», sono eredi di una lunga storia artistica, testimoniata dalle figurine di osso della Terra di Baffin e dalle complesse maschere yupik che sedussero gli artisti europei. La loro splendida mitologia parla di una divinità, Sedna, dal cui sacrificio nacquero i pesci del mare per nutrire gli uomini. Parla di un fratello e una sorella che diventarono il sole e la luna e parla degli animali. Tra questi, la foca, dalla quale si ricava l’essenziale per la vita. E cioè carne, olio per l’illuminazione, pelle per l’abbigliamento o per fare i kayak.

Una civiltà, quella eschimese, fragile e bellissima, capace di abitare la tundra e di rendere significativo ogni sasso e ogni insenatura del mare. Una civiltà poco capita e che si dissolse irrimediabilmente all’arrivo dei bianchi. Oggi, a Nunavut, il territorio artico canadese gestito in autonomia dagli inuit, gli eredi dell’antica Thule cercano, attraverso l’arte, di recuperare il senso grandioso e tragico del loro essere custodi di un luogo dove il mondo finisce.
Anna Casella Paltrinieri


La ricetta
AGOUTUK, IL GELATO DEGLI ESCHIMESI
Agoutuk o akutaq è il «gelato eschimese», una spuma di pesce lavorata con olio o grasso e con aggiunta di bacche. La ricetta yupik (Nord-Ovest dell’Alaska ed Est della Russia) propone di usare olio di foca fresco, ma si hanno ricette con grasso di renna o di caribù. Oggi si preferisce usare l’olio vegetale industriale Crisco. Il pesce va pulito togliendo le interiora, la testa e la coda e poi va fatto bollire per venti minuti. Lasciar raffreddare nell’acqua, togliere le lische e sbriciolare il pesce il più possibile. Aggiungere due cucchiai di Crisco, miscelare e aggiungere altro olio continuando a lavorare finché il composto non diventa spumoso. Aggiungere zucchero e frutti di bosco. Refrigerare e servire gelato.

© FCSF - Popoli 2014