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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Islam vichingo e Scandinavia cristiana
Tornando dalla Svezia mi trovo con un gruppo d’americani-sciiti-pakistani, pellegrini ai luoghi di sofferenza della famiglia del Profeta nella Damasco omayyade. All’atterraggio intonano appassionate invocazioni mentre sorridendo rassicuro lo steward impaurito. E penso subito ai lettori di Popoli!
In Norvegia e Svezia, invitato dagli amici luterani, ho partecipato della loro sollecitudine verso l’islam «vichingo». L’inserzione musulmana prende forme diverse. Si va da un’assimilazione al mondo secolarizzato e individualista, secondo il modo dello sradicamento, passando per un inserimento che vuole conservare la particolarità cercando tuttavia l’armonia con il contesto sociale ed ecclesiale (penso ai giovani amici cristiani e musulmani di Malmö, venuti nel deserto accompagnati da una sacerdotessa luterana e da un leader originario di Gaza e che ho ritrovato in Norvegia), fino alla formazione di ghetti islamici omogenei - nel senso della radicalità salafita - e insieme eterogenei - nel senso delle provenienze geografiche -, dove lo Stato è come escluso. Se si continua così si finirà con gli Emirati del Baltico! Mi viene però in mente il quartiere-ghetto degli ebrei osservanti di Mear Sharim a Gerusalemme… In fondo la presenza di alcune comunità religiose molto coese può arricchire la compagine sociale locale nella sua scelta per una società interculturale.
Il viaggio era organizzato da ospitalissimi luterani e pentecostali. In università e parrocchie ho incontrato amici convinti del bisogno d’allargare le prospettive per un futuro dove la monocultura di quei Paesi protestanti nordici è ormai un passato che la nostalgia non resusciterà. Era anche la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: evidente come il movimento ecumenico non sia più separabile dal dialogo interreligioso.
Ho parlato in un centro di ricreazione giovanile. Gli uni accanto agli altri, c’erano: preti e diaconi luterani e ministri evangelici (dappertutto in maggioranza donne con degnissimi «collar»), gli animatori laici del centro, di cui alcuni/e musulmani e/o afro, l’imam della moschea del quartiere, una buddhista con gli occhi a mandorla, i responsabili del centro per il dialogo interreligioso in città, una coppia in rappresentanza dell’associazione omo-lesbo-bi-trans, una rappresentante della piccola comunità cattolica, alcuni immigrati cristiani siriaci... Al di fuori d’una logica di attiva e creativa speranza, il pessimismo più nero sul futuro d’una società del genere è realismo. Un copto dichiarava sconsolato, deluso da quel modello magmatico ed enigmatico di società: «Forse dovremo emigrare ancora...».
I nostri amici hanno organizzato un convegno sulla vita monastica in un castello addormentato sotto la coltre del gelo, dove alcuni giovani pentecostali sognano di vita religiosa. Anche fratel Guido, di Bose, e padre Maximos, del monastero copto ortodosso di Sant’Antonio, hanno offerto l’esperienza di rinnovamento delle loro comunità.
Per parte mia ho insistito sul ruolo della vita contemplativa nel dialogo interreligioso e sull’importanza di centri spirituali cristiani aperti ai musulmani dei quartieri e non solo agli intellettuali. Ho sottolineato che il sentimento cattolico è una fiamma ecumenica che richiede castità del cuore per non cedere alla polemica. All’alba ho sognato l’aereo dei pellegrini americani musulmani, i veli integrali, i minareti svizzeri, il prossimo Sinodo sul Medio Oriente... e la conclusione di quest’articolo. Se potessimo far spazio alla tenerezza divina, potremmo guardare anche alle contrazioni delle identità contrapposte come a testimonianze profetiche: testimonianze di conservazione di valori preziosi per i futuri collettivi e meritevoli perfino di traversare i conflitti al fine d’essere elaborati nella nuova universale vulgata. Le uova son già rotte, dove sono le anime grandi che cucineranno l’appetitosa frittata con tutti questi magnifici ingredienti?

© FCSF – Popoli, marzo 2010