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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
L'asino maestro
Troverete un asinello, sul quale
nessuno mai si è seduto, slegatelo
(leggi Marco 11, 1-11)

Per vedere ci vogliono l'occhio e la luce. Dopo la guarigione del cieco, questa scena è la luce per discernere chi è il Signore. Inizia il primo dei sei giorni di Gesù a Gerusalemme. È il principio della nuova creazione, che culminerà al sesto giorno sulla croce. Lì finalmente vedremo l'uomo nuovo, il vero volto di Dio in quello del Figlio.

In un graffito del Palatino c'è l'immagine di un crocifisso con la testa d'asino e la scritta: «Alessameno adora il suo Dio». Non è raffigurazione blasfema, ma l'icona più adeguata a Gesù, il Figlio di Dio che fu ucciso per bestemmia (Mc 14,64). Infatti Gesù è Signore, Cristo e Giudice supremo proprio in quanto ucciso. La croce è la distanza infinita che Dio ha posto tra sé e qualunque nostra raffigurazione di lui. È un Dio crocifisso, il cui unico potere è amare e donare, fino a mettersi nelle mani di tutti, senza giudicare né condannare alcuno. Questa scena dell'asino ci guarisce dall'immagine satanica di Dio che tutti, compreso Pietro (Mc 8,33), abbiamo: distrugge quel dio che gli atei negano e i «religiosi» affermano.

Da Betfage, dove i pellegrini si purificano per entrare in Gerusalemme, Gesù invia due dei suoi discepoli, per cercare un asino. Cercare e trovare l'asino è la penultima missione dei discepoli, alla quale seguirà quella definitiva: cercare e trovare la stanza superiore, dove si celebra l'eucaristia.

L'asino è il protagonista del racconto. Umile animale da servizio, porta i pesi degli altri. È come Gesù, il Servo di tutti, che sulla croce si caricherà dei nostri mali. Con un amore più forte di ogni morte, egli realizza pienamente la legge nuova, che Paolo sintetizza così: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2). Questa è la libertà di Dio sulla terra: essere servi gli uni degli altri nel reciproco amore. La capacità di amare e servire è la nostra somiglianza con Dio, realizzazione del suo regno.

Quest'asino c'è, ma è legato. E nessuno mai l'ha cavalcato o vuol cavalcarlo. Missione dei due è slegarlo. Perché su di lui viene il Regno. La missione di Gesù e nostra è quella di slegare in ciascuno la capacità di amare e servire. La falsa immagine di Dio l'ha legata. È il peccato, comune a tutti, che ci impedisce di conoscerlo e diventare come lui. L'asino slegato è l'unica cosa di cui il Signore ha bisogno in tutto il Vangelo. Qui, inoltre, è l'unica volta che Gesù chiama se stesso «il Signore». La scena, predetta, si realizza. È profezia perenne: Colui che è venuto così, sempre verrà così. E viene ovunque lo si accoglie così com'è.

Noi aspettiamo che Dio arrivi in gloria e potenza, prendendo in mano tutto e tutti. Invece si consegna a tutti (l'amore non è consegnarsi, mettersi nelle mani dell'altro?). Se sua forza è l'amore, sua gloria è l'umiltà, suo potere il servire. Non viene con il cavallo, come chi ha il potere, o con il carro da guerra, come chi vuol conquistarlo: «Umile cavalca un asino» (Zc 9,9). Così fa scomparire cavalli e carri, ogni dominio e violenza dell'uomo sull'uomo. Chi viene così è benedetto, perché così viene il regno di Dio. Chi non viene così è maledetto: non viene nel nome del Signore, ma in quello di Satana.

Ogni missione è presentare un Dio-asino: povero, mite e umile. Solo così è sdemonizzata la nostra immagine di lui e dell'uomo, suo figlio. E solo così viene il Regno, che ci libera dalla radice di ogni male: la bramosia di avere in mano tutto e tutti: cose, persone, noi stessi e addirittura Dio. «È questo il momento in cui instaurerai il Regno?»: così suona l'ultima domanda della Chiesa nascente al suo Signore che se ne va. Il momento in cui viene è proprio «questo», se noi siamo testimoni di Lui (At 1, 6-8). Testimoni del suo essere asino.
© FCSF – Popoli, 1 novembre 2008