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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
La civiltà dell’igname
Gli alimenti, scriveva Lévi-Strauss, sono, prima di tutto, «buoni da pensare». Nei miti che raccontano la genesi dell’ordine culturale, infatti, la scoperta e la cottura di alimenti come l’igname e il taro, rubati agli dei (secondo i tikopia della Melanesia) o indicati da una stella (secondo gli apinayé e i kraho del Sudamerica), descrivono il percorso razionale mediante il quale l’uomo emerge dalla totalità indistinta delle origini. Sono gli alimenti a dare sostanza a quel pensiero che gli permette di prendere le distanze dalle divinità, come nel mito degli indigeni nordamericani oijbwa sul totemismo, e di fondare il proprio ordine sociale, come nel mito tikopia che narra l’origine dei clan.
Per questo motivo, l’etnobotanico Andrés-Georges Haudricourt pensando al rapporto tra sistema di coltivazione e processi del pensiero, tratta di una «civilizzazione dell’igname». Igname, o yam o anche sapà (termine col quale è conosciuto dai pigmei) è il nome generico che si applica a diverse piante appartenenti al genere Dioscorea (Dioscoreaceae). Della Dioscorea alata, che comprende circa 130 specie, solo sette specie sono commestibili; le altre, tossiche, sono usate solamente nella farmacopea. Ricco di amido, l’igname è talmente importante nella dieta delle popolazioni africane che il termine nyam dei senegalesi wolof (e dal quale è derivato il portoghese inhame) significa semplicemente «mangiare».
L’igname costituisce, infatti, la base dell’alimentazione di numerose popolazioni dell’Africa, dell’Oceania e dell’America. Riferito simbolicamente al mondo maschile, e relazionato al sole e al fuoco, esso rappresenta la potenza del clan paterno per i popoli della Nuova Guinea che - ricorda l’etnologo Maurice Leenhardt - trattano il tubero con la cautela e la dolcezza riservata agli oggetti sacri e ai neonati. Presso alcune popolazioni dell’Africa occidentale, come i bassari del Togo, gli ashanti del Ghana e gli anyi-bona della Costa d’Avorio, la festa dell’igname costituisce un avvenimento cerimoniale che coinvolge la popolazione, i dignitari, il re stesso in un rituale di rinnovamento. Durante la celebrazione, preparata con la pulizia delle stoviglie e delle case, le offerte di doni fatte al re e ai dignitari, l’accensione dei fuochi rituali che devono permettere nella notte il ritorno dei capi defunti, la consumazione dei tuberi novelli, sono, allo stesso tempo, ringraziamento per la prosperità che gli antenati riversano sulla comunità e richiesta che questa continui negli anni.

© FCSF – Popoli, maggio 2009