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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
La cucina esotica del Nuovo Mondo
Dopo che le caravelle di Colombo ebbero aperta la strada verso le Indie, sull’Oceano Atlantico si incrociarono per secoli le rotte dei conquistadores diretti nel Nuovo Mondo e quelle di chi da quel continente appena conosciuto portava in patria i tesori scoperti. Patate, pomodori, peperoni, peperoncino, mais e fagioli approdarono dunque sulle coste del Mediterraneo come alimenti esotici e modificarono per sempre la fisionomia della cucina europea.

Lo stesso non accadde nel continente americano. Perché i conquistatori portarono alcuni prodotti del Vecchio Mondo, ad esempio l’aglio, alcune tecniche, ad esempio l’arte di friggere gli alimenti, alcuni condimenti, come il grasso di maiale (in forma di lardo fresco, salato e strutto) e l’olio d’oliva per i giorni di magro. Ma, soprattutto, portarono con sé il desiderio di non allontanarsi troppo dai sapori di casa e quello di distinguersi dalle popolazioni native e dalle loro cucine. Che erano molto diverse: anzitutto usavano alimenti difficili per il gusto europeo, come tuberi e semi, una mescolanza di sapori dolce-piccante,  animali selvatici, insetti, larve e crostacei (questo ricorda Bernardino di Sahagún, impressionato dalla varietà di prodotti venduti nei mercati aztechi). Tutte cose poco apprezzate dai nuovi venuti. Ma era soprattutto il desiderio di non confondersi con gli indigeni, dei quali si sentivano superiori, a creare il confine tra la cucina degli spagnoli e quella locale. E anche se i bianchi dovettero affidarsi alle arti culinarie delle donne indigene, quella che ne derivò fu una coabitazione di sapori e di tecniche e non una creolizzazione come ci si poteva aspettare.

Gli indigeni, dal canto loro, continuarono ad alimentarsi con il chuño,
una patata disidratata, a riempire di peperoncino lo stufato (locro), a tostare e bollire il mais. E anche oggi le cucine indigene si distinguono perché conservano l’uso di prodotti arcaici locali, mai giunti in Europa, come l’uncucha, l’achira, la mashua, la yuca e l’ullucu. (C. Boudan, Le cucine del mondo, Donzelli, 2005). O come il camote (Ipomea batatas Lam), una patata dal colore giallo o violaceo, dolce, conosciuta in migliaia di varianti e coltivata sulle Ande e in tutto il Sudamerica fin dall’antichità. Che non smette di ricordarci quanto esotico fosse il Nuovo Mondo raggiunto dalle caravelle.


La ricetta
TORTA DOLCE DI CAMOTE DELL’ECUADOR
Un chilo di camote viene pulito, cotto e passato nel passaverdura. Il composto viene unito a tre cucchiai di burro, una tazza di zucchero, due cucchiai di cannella in polvere, rum e tre rossi d’uovo. Al composto, ben mescolato si aggiungono canditi e tre albumi montati a neve (unendoli delicatamente). Si mette nel forno a 250° per circa 25 minuti finché la superficie sarà ben dorata. Se si vuole la torta più morbida si può usare il lievito chimico.


© FCSF - Popoli 2014