Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Idee
Cerca in Idee
 
Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
La parte degli angeli
Al Festival di Cannes 2012, dove ha vinto il premio della Giuria, l’ultimo film di Ken Loach è arrivato come una vera boccata di ossigeno. Il livello dei film in concorso quest’anno era alto ma, come spesso accade ai festival internazionali, perfino i capolavori erano impastati di depressione, morte e pulsioni suicide. Il libertario autore inglese, invece, dopo la tragedia del conflitto iracheno narrata in L’altra verità, è tornato a dedicarsi alla commedia, per quanto amara, realistica, violenta e «periferica», sulla falsariga dello straordinario Il mio amico Eric. Loach e il suo fido sceneggiatore Paul Laverty regalano allo spettatore un affresco della periferia di Glasgow intenso, divertente, vitale, ruvido, vero.
La parte degli angeli, in uscita in Italia il 13 dicembre, è il racconto di una comunità di servizi sociali guidata dal paterno Harry (l’ottimo attore «loachano» John Henshaw). Qui si ritrovano alcuni ragazzi sboccatissimi, non più bambini, ma nemmeno ancora uomini (o donne), costretti ai servizi per comportamenti «devianti» e ribelli.
L’irrequieto Robbie (Paul Brannigan) è stato condannato a trecento ore per attitudine violenta e aggressiva. La sua ragazza sta partorendo, ma la famiglia di lei intima al ragazzo di starle lontano. Rob, che ha avuto problemi di alcolismo, trova conforto nell’amicizia con gli altri ragazzi del centro e con il suo tutor, Harry. Quest’ultimo scopre che il giovane ha una particolare sensibilità gustativa nel riconoscere i diversi tipi di whisky e lo aiuta a coltivare il talento, senza ricadere nell’alcolismo.
Il titolo fa riferimento alla «porzione» o «quota degli angeli», nomignolo con cui i distillatori definiscono quella percentuale di alcol che ogni anno evapora da una botte di whisky. Gli «angeli» del titolo, però, per estensione sono anche i ragazzi della comunità e il loro tutore attento, sensibile e risoluto.
Gli attori del film sono quasi tutti non professionisti che dai servizi sociali ci sono passati davvero.
Ken Loach mostra l’importanza del risveglio delle coscienze per migliorarsi. Scriveva Carlo Maria Martini in Non è giustizia (2004): «Ogni giudizio che viene dall’esterno, da uno sconosciuto, specialmente se accompagnato da forme di superiorità, sarà certamente rifiutato, con un silenzio rabbioso, con improperi, forse con gesti aggressivi. Al contrario, il giudizio interiore, quello della coscienza personale, è riconosciuto e accettato, almeno per qualche attimo, anche dal peggiore degli uomini. All’autorità della propria coscienza ci si sottomette più volentieri: si sottomette persino il ribelle».
Dal proprio «risveglio», i ragazzi della comunità ricominciano a vivere e a trovare bellezza e forza anche nei giorni difficili. Loach li racconta mescolando umorismo, povertà, alcol, peso e leggerezza, colpa e (quasi) redenzione. Ci versa un ottimo cinema-whisky che sa scaldare il cuore.


© FCSF – Popoli, 1 dicembre 2012