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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
La prima contestazione nella Chiesa
Leggi Atti 6, 1-7

La comunità non è mai perfetta. Dopo la menzogna di Anania e Saffira (cfr articolo di dicembre 2012) c’è un’ingiustizia: gli apostoli favoriscono le vedove della loro terra, trascurando le altre. La discriminazione etno-culturale suscita contestazione.
Se le persecuzioni esterne fanno crescere la Chiesa, questa crisi interna potrebbe disgregarla. Difficoltà e mancanze ci sono sempre. La norma è ignorarle e lavorare per soffocare le voci critiche: «Troncare, sopire!». Ma il rimedio è peggiore del male: uccide la fraternità e la parola profetica che vorrebbe ricostruirla. Negare il male produce cancri mortali!
Gli apostoli ci danno buon esempio: riconoscono la loro inadempienza. Solo in questo modo capiscono la propria identità. Non tutto spetta a loro. La comunità scelga chi serve alle mense, mentre loro si daranno alla preghiera e al servizio della Parola. Questo è il compito degli apostoli, e dei loro successori! Così costruiscono la Chiesa. Senza questa base, essa crolla e va in rovina.
È l’anno della fede. Il pericolo di tutti i giubilei è celebrare belle liturgie pur di non affrontare i dovuti cambiamenti (cfr Is 1,10-17!). In questo racconto degli Atti si dice cos’è la fede che gli apostoli dovranno trasmettere a ogni uomo. La fede non sta nel credere a proprie idee o sapere a memoria il catechismo: «Anche i demoni credono, ma tremano!» (Gc 1,19). La fede è perseverare nella preghiera e nel servizio della Parola. Sono i due mezzi con cui i dodici patriarchi della Chiesa «fondano» la comunità di uomini nuovi. Il patrimonio genetico che ci offrono sono la preghiera e la Parola. La prima ci mette in comunione con il Padre e la seconda con tutti i fratelli, ai quali siamo debitori del Vangelo (cfr Rm 1,14s). Altri servizi, pure utili o addirittura necessari, spettano ad altri.
Ci sono doni diversi. Ognuno è responsabile di mettere il proprio a disposizione altrui. I nostri limiti sono il bisogno che abbiamo dell’altro: creano comunione nella diversità. E questa è la nostra somiglianza con Dio, Trini-unità d’amore. Preghiera e servizio della Parola sono l’essenza della fede cristiana. Questo binomio è fecondo. Genera ogni dono e si fa carne nel servizio ai poveri. Diversamente la nostra fede è vuota (cfr Gc 2,26; Mt 25,40). Non amiamo a parole, ma con i fatti e nella verità (1Gv 4,17).
Quest’anno si «celebra» anche il 17° centenario dell’Editto di Costantino. La libertà religiosa è cosa buona. È da rispettare, soprattutto quella altrui. Tutte le religioni la esigono, ma ben poche la concedono. Forse nessuna. La libertà cristiana nessuno ce la può togliere, neppure la persecuzione. Ce la toglie però il tradimento del Vangelo, quando diventiamo supporto dei potenti. Il cristianesimo, quando diventa «religione di Stato», impone il Vangelo con leggi ed eventuali roghi, crociate, dittature e giochi vari per avere esenzioni e privilegi. Che abominio: da perseguitati a persecutori. Per difendere indebiti privilegi non riconosciamo più il Signore nei poveri!
Spero che il 313 si celebri «con vergogna e rossore» per la libertà pretesa per sé e negata agli altri. Unica è la fonte delle cinque piaghe della Chiesa: l’oblio della Parola che annuncia un Dio crocifisso. La Chiesa deve costantemente ripulire il suo volto di sposa se vuol essere come lo Sposo. È un volto molto offuscato: a livello pratico da pretese di dominio e a livello più profondo dalla dimenticanza del Vangelo. Al suo posto troviamo tanti documenti dottrinali e normativi. Di essi il grande Tommaso d’Aquino ripeterebbe: «Palea, palea!», paglia che brucia. Per l’evangelizzazione non servono testi o linguaggi nuovi. Il Vangelo da tempo è scritto con inchiostro sulla carta. Attende di essere scritto dallo Spirito nella mia carne, unico linguaggio comprensibile da tutti. Altre parole sono trappole per accalappiare proseliti.

© FCSF – Popoli, 20 gennaio 2013