Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Idee
Cerca in Idee
 
Missione Scampia
Fabrizio Valletti
Gesuita della comunità di Scampia (Na)
La scommessa del Concilio (e di Napoli)
Rivivere la gioia del Concilio. Per chi ha vissuto quegli anni di fermento e di ricerca, la ricorrenza significa riaccendere la speranza. I 50 anni di distanza nella vita del mondo e della «Chiesa nel mondo» significano profondi cambiamenti ed è su questa scommessa che ritroviamo l’attualità di quando i padri conciliari e gli esperti convenuti a Roma si sono confrontati, scontrati, intesi.
La lettura dei documenti conciliari è un’esperienza che ancora e sempre di più può illuminare l’odierno cammino. Molto importante è cogliere il lavoro difficile e tormentato che durante le sessioni, prima sotto la guida di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, ha portato a ribaltare quanto proposto nella preparazione dei lavori conciliari. Il carattere «pastorale» della ricerca e i messaggi che i documenti propongono sono motivo di perplessità per chi attende dalla Chiesa definizioni e certezze. Per chi è immerso nell’evolversi rapido delle vicende culturali e sociali, le indicazioni che emergono dal dibattito dei padri conciliari sono piste da percorrere con coraggio, nell’esperienza del dialogo, nella condivisione di responsabilità, nella scoperta dei «segni dei tempi» lungo il cammino che accomuna persone e popoli interi alla ricerca di libertà e di un nuovo umanesimo fondato sul diritto e sulla pace.
È una provocazione anche per la nostra Chiesa e per le comunità di Scampia, sofferenti per le tante contraddizioni e ingiustizie. Lo spirito del Concilio, ripreso dall’anno giubilare della Chiesa napoletana, risuona comunque e fra le tante sollecitazioni sembra esemplare l’invito a una nuova «missionarietà» che il cardinale Crescenzio Sepe rivolge ai cristiani nella recente lettera pastorale: «Non serve una fede che sa di sagrestia, che si chiude in un ristretto orizzonte esistenziale, che si tinge di devozionismo e di ritualità ripetitiva».
E fra le vicende della vita in cui «rinascere» indica l’attenzione al bene comune, che «non riguarda ovviamente il bene particolare di qualcuno e non coincide neppure con i soli interessi della comunità ecclesiale, ma è un bene che non esclude alcuna persona (…) perché tutti, senza alcuna preclusione in ragione della religione, della razza e della cultura, hanno il diritto di sentirsi ed essere protagonisti e beneficiari del bene comune realizzato».
Una prospettiva che dona speranza e sollecita la creatività culturale, sociale e anche apostolica!


© FCSF – Popoli, 1 novembre 2012