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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
La tradizione tradita
«Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe» (leggi
Atti 7,1-54)

Stefano racconta ai Giudei la loro storia comune, «radice santa» nella quale anche noi siamo innestati. Come tutti i profeti, ne attualizza il filone rovente: la fedeltà di Dio e le nostre infedeltà. Ricorda le tre figure fondamentali: Abramo, Giuseppe e Mosè. Abramo è il nuovo Adamo, padre di tutti i credenti. In lui è benedetta la sua discendenza e, in questa, ogni popolo della terra. Giuseppe, «ucciso» come Abele da invidia fraterna, ricostruisce la fraternità infranta. Mosè, infine, forma un popolo di fratelli, liberi dalla schiavitù e in cammino verso la promessa.
Stefano accoglie la tradizione e mostra la continuità e la novità del cristianesimo rispetto al giudaismo: Gesù realizza l’attesa di Israele di un mondo nuovo dove regni fiducia, fraternità e libertà.
La tradizione non è peso da portare. È albero vivo, il cui frutto maturo è cibo per tutti. L’Antico Testamento fiorisce ed è fecondo in chi lo guarda non come una mummia, ma come il patrimonio di famiglia, sua promessa di vita. Tutto ciò che siamo e abbiamo, ci è consegnato da altri. Tutto è tradizione. Chi la ignora, perde la propria identità. La tradizione, come la vita, non si inventa. C’è già. Ma va indagata e capita per realizzarne le infinite possibilità. Per questo la tradizione non è tutto. Ha senso perché produce un futuro sempre nuovo. Il pulsare del cuore e il ritmo del respiro sono nuovi ogni attimo, altrimenti si è morti.
È l’anno della fede. Centro della fede è l’eucaristia, nuova ed eterna alleanza per tutti, non per pochi eletti. Attorno a essa nascono i testi del Nuovo Testamento. Parlano del Gesù che siamo chiamati a conoscere, mangiare, assimilare e testimoniare. Nostra tradizione è il suo «corpo dato per noi». Chi lo accoglie, vive di lui e come lui. Paolo dice: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
La tradizione è il grande tesoro dell’uomo. Da essa ci viene il modo di pensare e di vivere, la cultura e la religione, l’arte e la poesia, la scienza e la filosofia. È un grande fiume che scorre, raccogliendo nel suo corso ogni rivolo d’acqua. Alla fine sbocca nel suo mare, da dove risale al cielo e torna alla terra per ravvivare ciò che ancora è deserto. Sulla tradizione germoglia il presente sempre nuovo e progredisce la storia. Il suo nome è «Sofia» (= Sapienza), vera sposa dell’uomo. Il saggio vive con lei l’avventura della sua vita. Riceve ogni suo dono e le dà quanto ha ed è. Si fa, con lei, due in una sola carne. Chi non fa così, tradisce la tradizione.
La tradizione può essere tradita in due modi: ripudiandola o uccidendola. Se il pericolo dei progressisti è la stupidità di ripudiarla, privandosi della propria metà, il pericolo dei tradizionalisti è la stupidità di amarla tanto da ucciderla. Il «conservatore» è un amante geloso. Nella paura di perdere l’amata, la soffoca e imbalsama, per custodirla com’è. Nella sua follia perpetra il peggior crimine e diventa guardiano di simulacri morti, dove la cultura diventa citazione, il rito sostituisce la religione, l’archeologia l’arte, la retorica la poesia, il potere la scienza e l’ipse dixit la filosofia. «Povera e nuda vai, filosofia». In tale contesto alla teologia non resta che giocare il due di bastoni di certezze scambiate per verità.
Chi lotta contro il progresso si oppone a Dio, che agisce nella storia, e impedisce di parlare di lui all’uomo d’oggi. Purtroppo il tradizionalista non capisce la tradizione. La mette in formalina per analizzarla. Chi la capisce, la rinnova ogni giorno dedicandole tutto se stesso.
Tradire la tradizione è la fine di tutto. Ha portato alla Shoà dei nostri padri nella fede, all’esaurimento del cristianesimo, reciso dalla sorgente, e al rimbecillimento generale.


© FCSF – Popoli, 1 marzo 2013