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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Le armi della verità
Esule da un trimestre, ho vissuto il viaggio del Papa in Libano come una tappa del mio vagabondare. Ho incontrato siriani fuoriusciti in tanti Paesi: piaga irrimarginabile dell’escluso, del reietto e del fuggitivo. Incontro i potenti della Terra, scoprendoli così impotenti nella tragedia del popolo siriano, un pezzo della non gestibilità globale. Troppe mafie, interessi settari...

Paralisi pazzesca della diplomazia, clima da Guerra fredda: Russia e Iran a far fronte come se senza Bashar cascasse il mondo; e gli altri a corto d’idee alternative alle armi (idee invocate dal Papa) e rassegnati allo strazio d’un popolo in rivolta.
È curioso che Paesi armati fino ai denti scoprano ora una vocazione gandhiana. Nel frattempo i bombardamenti mietono vittime a migliaia e distruggono Aleppo, un gioiello! Il progetto? Distruggere la Siria, per poi dividerla su base settaria.
Mentre volava verso Beirut, il Papa ha detto una cosa che è stata male interpretata. Dopo avere affermato che la democrazia è importante e che quindi la Primavera araba è una cosa buona, ha detto che è un peccato grave vendere le armi alle parti belligeranti in Siria.

Si, certamente è un peccato grave vendere le armi, per mero interesse, a chi le usa per opprimere altri. Tuttavia, in una prospettiva di non violenza, di cui il Papa è promotore, esistono armi lecite, addirittura dolorosamente doverose, e sono quelle impugnate a difesa degli oppressi. O diciamo esplicitamente che governanti e cittadini di Europa e Stati Uniti commettono un peccato grave ad avere armi nei loro arsenali, di qualunque tipo, in qualunque misura e qualunque uso ne facciano, oppure dobbiamo ammettere che si danno casi in cui l’uso delle armi è giustificato. Non può essere peccato dare ai siriani i mezzi per difendersi. È peccato l’omissione di soccorso.

Certo bisogna decidere che le armi non devono essere l’ultima parola. Le armi devono essere una maledetta medicina per una costringente necessità, immediata e momentanea, ma le ultime parole devono essere riconciliazione, non violenza, cultura del superamento della violenza. La via della diplomazia non sarà successiva alla lotta armata, ne fa piuttosto parte mentre pare le si opponga. L’azione non violenta resta la più urgente. Pensiamo da adesso a come estrarre i giovani da sotto le macerie della violenza alla quale sono stati costretti, per riabilitarli a una società di fraternità solidale.

Il Papa, con la sua visita in Libano, è un faro. Di fronte agli episodi anche recenti di islamofobia e di reazioni islamo-isteriche, proponiamo che tutti, cristiani e musulmani, si esercitino nell’islamosofia, nella prudenza, nella pazienza, nella saggezza lungimirante.

© FCSF – Popoli, 1 ottobre 2012