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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
Lourdes

Christine (straordinaria Sylvie Testud) è paralizzata su una sedia a rotelle. Durante un pellegrinaggio a Lourdes ritrova l’uso delle gambe e del corpo che sembrava destinato per sempre all’immobilità. La regista austriaca Jessica Hausner, non credente, si avvicina alla grotta di Lourdes con un pudore fuori dal comune: il film mostra pochissimi primi piani dei personaggi, pochissimi dettagli sul corpo «miracolato» e sull’inspiegabile guarigione, nell’estremo rispetto per il dolore, la sofferenza, per l’indecifrabile e la fede. Hausner si è ispirata ad alcuni fatti di «guarigione inspiegabile» realmente accaduti a Lourdes e ha avuto il raro permesso di girare sui luoghi dove Bernadette vide la luce (gli interni in albergo sono stati invece realizzati a Vienna).
Il gruppo di pellegrini di Lourdes sembra un unico grande corpo di attesa, speranza e silenzio, un unico corpo malato e spesso incapace di comunicare davvero in ogni sua parte. Christine è isolata dagli altri, sia prima sia dopo la guarigione. Prima, perché corpo troppo ingombrante, impegnativo e faticoso da spingere nel pellegrinaggio fatto di salite, fatica e continue Viae crucis (la protagonista porta inscritte, già nel nome, tracce di Cristo). Dopo, perché oggetto d’invidia, corpo sanato a dispetto del proprio: «Perché lei sì e io no?».
Per quanto film di finzione, interpretato da attori e con una sceneggiatura definita, Lourdes sembra quasi un documentario sul mistero della sofferenza e del dolore. Non metafora o parodia della fede. Semplicemente il racconto di una giovane malata a cui pare sia concessa la guarigione e una rinascita. Le persone che la circondano, più che colpite dalla straordinarietà della grazia, sembrano corrose dall’invidia e dal dubbio. L’unico vero «angelo custode», l’unica reale apparizione miracolosa, non compresa del tutto nemmeno da Christine, è forse l’anziana malata che, più efficiente delle infermiere, segue la giovane donna durante il pellegrinaggio. Anche se le è stato proibito, l’anziana signora spinge la carrozzina per le salite del Calvaire, sussurra parole di conforto e in chiesa avvicina Christine all’altare, mentre l’infermiera resta distratta e annoiata dal rito.
Il miglior film in concorso a Venezia (purtroppo ha vinto solo premi minori) non ha la pesantezza ideologica di un film a tesi. Non ha lo snobismo di certe persone di fede né quello di alcuni non credenti che guardano beffardi o irridono chi ha fede in quel che non si può vedere. Rimanda piuttosto alle parole illuminanti del teologo Francesco Cacucci, che negli anni Settanta scriveva: «Il cinema ritornerà a essere sacro e religioso se accetterà di cominciare e ricominciare dall’uomo» (Teologia dell’immagine, 1971). In questo senso Lourdes, nelle sale dall’11 febbraio, è un film che ha a che fare con il sacro, perché straordinariamente umano: sa confrontarsi con il mistero dell’uomo, della sua solitudine e del suo inspiegabile dolore. 

 

 

© FCSF – Popoli, 1 febbraio 2010