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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
Mimose e altri fiori

Come si esce dalla retorica dell'8 marzo? Dalle mimose, dalle commemorazioni e dalle pari opportunità? Dalla celebrazione periodica di una identità femminile immediatamente negata il giorno dopo, quando la commozione o l'indignazione sono prontamente sostituite dalla rassegnazione? Non v'è dubbio che, anche nella nostra società complessa e post-moderna, il tema del ruolo della donna, come quello della relazione tra uomini e donne sia ben lontano dall'aver trovato una sua soluzione. A tal punto che, anche la formulazione di una norma di buon senso, come quella delle candidature maschili e femminili per le elezioni politiche, diventa difficile.

Il problema della identità femminile è di tutte le società e di tutte le culture. E in tutte le società è legato all'altro problema, quello della identità maschile e della relazione tra gli uni e le altre. I popoli che ci ostiniamo a chiamare “primitivi” avevano ben compreso che, se si diventa uomini e donne seguendo un modello e ripetendo processi, comportamenti e atteggiamenti che trasformano il corpo, lo rendono maschile e femminile, impongono la separazione e la distinzione, questa costruzione della identità risulta però da ripetuti scambi e incroci, fratture e  ricomposizioni. Perchè sono le donne che vestono i bambini da maschi, sono le donne anziane che praticano le incisioni sul corpo delle più giovani. Mentre tra i Krahò del Tocantins brasiliano i giovani maschi diventano adulti con un rituale che sancisce il distacco dalle cure materne. Come a dire: quel legame che ha fatto vivere il bambino fino a quel momento deve essere negato perchè il giovane viva.  

Anche laddove le culture hanno separato al punto da segregare (col velo, con gli spazi proibiti e quelli riservati alle donne) esse hanno tuttavia previsto dei momenti di incontro e di compensazione. Così, per tornare ai Krahò, le decisioni dei maschi riuniti nello spazio centrale del villaggio, il parlamento indigeno, non trovano applicazione se non dopo che questi, tornati più volte nelle proprie capanne, hanno ricevuto l'assenso delle mogli. L'andirivieni dal centro del villaggio alle capanne è, dunque, giustificato solo dal desiderio di non cedere sullo spazio simbolico del potere maschile. E, come ci ha ricordato Bateson studiando gli Iatmul della Nuova Guinea, l'identità maschile e femminile non può mai essere così forte e definitiva da non permettere una qualsivoglia forma di uscita, seppur temporanea. Dunque, l'uomo che vuole esprimere sentimenti considerati femminili non deve fare altro che mutare di abito, travestirsi. Così la donna che intende manifestare orgoglio e fierezza: con abiti maschili, e con una identità femminile temporaneamente sospesa, può esprimere stati d'animo estranei alla sua psicologia senza perdersi.

Una incursione nel mondo dell'altro, e una concezione mobile, permeabile delle identità: è quello che si impara da questi rituali esotici. Si impara anche che il maschile e il femminile sono costruzioni culturali e perciò relative, contingenti e storiche. Imperfette.

Lungi dal produrre disorientamento o disagio, questa certezza ci convince che il compito di identificare i ruoli della donna e dell'uomo, di trovare percorsi per il confronto e il reciproco riconoscimento, di individuare degli spazi da condividere e altri da riservare è un compito di tutte le epoche, sempre nuovo e mai concluso. Oggi, dice una antropologa (S. Puccini, Nude e crudi. Femminile e maschile nell'Italia di oggi, Donzelli, Bari, 2009) il femminile sperimenta un eccesso di disinvoltura, il maschile un eccesso di imbarazzo.

Se, come scrive F. La Cecla (Modi bruschi. Antropologia del maschio, Bruno Mondadori, Milano, 2000), la crisi del maschio porta con sé la crisi della identità femminile conquistata nei decenni del femminismo, ne dobbiamo ricavare l'idea che le identità (anche quelle etniche, quelle nazionali, magari anche quelle religiose) vivono con le relazioni e di relazioni. E, dunque, le mimose dell'otto marzo celebrano la necessità di continuare a tessere quelle reti che tengono insieme, in un equilibrio sempre precario, mai concluso e mai perfetto, gli uomini e le donne.

Anna Casella Paltrinieri


© FCSF - Popoli, 8 marzo 2014