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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Morte e resurrezione di Pietro

«Non si era accorto che era realtà ciò che stava succedendo…» (leggi Atti 12,1-17)

È la primavera del 44, poco prima di Pasqua. Erode Agrippa I, salito al trono, perseguita la Chiesa e fa decapitare Giacomo, fratello di Giovanni. Il sangue piace sempre alla folla. Allora imprigiona anche Pietro per ucciderlo dopo la festa. Sarà la sua Pasqua.
Qui la Parola finisce la prima parte del suo cammino: da Gerusalemme ha raggiunto la Giudea e la Samaria, la persecuzione l’ha disseminata per l’Asia Minore e l’annuncio ai pagani le ha dato il via verso gli estremi confini della Terra. Luca ribadisce così la fecondità del seme che muore.

Con l’uccisione di Giacomo e la partenza di Pietro si compie il periodo dei Dodici a Gerusalemme. Finora Pietro, fratello in mezzo a fratelli, era protagonista. Figure di contorno, con Giovanni e gli altri apostoli, erano i diaconi con Paolo e compagni. Dopo questo «notturno» Pietro scompare totalmente, tranne un fugace riemergere al concilio di Gerusalemme. Da qui alla fine figura di spicco sarà Paolo, il persecutore che diventa icona del suo Maestro.
La comunità di Gerusalemme è affidata a Giacomo d’Alfeo (cfr Gal 1,19) e l’evangelizzazione dei pagani a Paolo, che subito dopo inizierà i suoi viaggi missionari. L’epoca dei Dodici patriarchi del nuovo popolo si conclude in gloria: uno è martire e Pietro, risuscitato da morte già decretata, va altrove. Erode invece finirà in pasto ai vermi.

Giacomo non sarà sostituito come Giuda. Al posto dei Dodici e degli apostoli ci saranno i Vescovi - che non fanno parte dei Dodici né sono chiamati apostoli. Questi sono le fondamenta, che sempre restano. La casa di Dio si edifica su di esse, ma non si confonde con esse. I discendenti vengono dai padri: sono uguali a loro, ma altri da loro. La comunità di Gerusalemme, perseguitata e rimasta senza il favore del popolo, reagisce pregando il Padre e cementando la fraternità.

Il racconto è una scena di nascita. È la notte dopo Pasqua. Pietro è al buio nella cella più interna della prigione. Custodito da quattro picchetti di quattro soldati, è legato con catene ad altri due. Attende la sua esecuzione capitale all’alba. E dorme, come Gesù nel sepolcro. Ecco che un angelo sfolgora nelle tenebre e lo scuote, lo risveglia e lo fa alzare in fretta. Le catene gli cadono e l’angelo gli ordina di cingersi i fianchi, mettersi i sandali, avvolgersi nel mantello e seguirlo. Pietro esegue gli ordini e lo segue. Pensa che si tratti di una visione in sogno. Oltrepassate le guardie, la porta di ferro si apre automaticamente. Arrivati in strada, l’angelo lo accompagna per un tratto. Solo quando sparisce, Pietro realizza che non è un sogno.
Noi spesso scambiamo realtà per sogno e viceversa.

In questa notte Pietro esce dal sonno di una morte sicura alla libertà di una vita nuova. Va al Cenacolo, dove tutti pregano per lui. Bussa al portone e scende una fanciulla. Quando sente la voce di Pietro, emozionata, non apre e corre a dirlo agli altri. Ma non le credono. La liberazione di Pietro dalla prigione richiama la risurrezione di Gesù da morte. Pietro intanto continua a bussare. Quando aprono e lo vedono, restano fuori di sé dallo stupore. Pietro racconta ciò che è successo e conclude: «Riferite questo a Giacomo e ai fratelli». Poi, come Gesù morto e risorto, scompare dalla scena: va in altro «luogo». Il suo luogo non è più il tempio o il Cenacolo. Nuovo tempio è per lui il mondo intero. Come il Figlio, così Pietro e tutti noi abbiamo come dimora non la Chiesa, ma il mondo, quel mondo perduto, per il quale il Padre ha dato il Figlio.

Dopo tanti anni di gestazione, Pietro nasce pienamente come apostolo. Inviato agli estremi confini della terra, arriverà a Roma. Qui, dopo vent’anni, compirà la sua bella testimonianza: crocifisso, e a testa in giù, alla fine diventerà come Gesù.


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© FCSF – Popoli, marzo 2014