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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Moschee italiane
Fuori è Firenze: regina del bello italiano, magnifica nelle sue architetture, stilla ricchezza culturale e spirituale da tutti i conci dei suoi monumenti. Dentro, in fondo a un lungo e spoglio corridoio, in uno spazio pulito e ordinato ma temporaneo, angusto ed antiestetico, è Centro islamico.
Ieri sera ero a Vicchio, presso la Barbiana di don Lorenzo Milani. H. è yemenita, 19 anni, ospite delle famiglie d’una comunità amica dei gesuiti che lo ha aiutato a rimettersi in piedi dopo ch’era saltato su una mina (made in Italy) in quel del Regno di Saba. H. ha invitato l’imam di Firenze, originario di Hebron-al-Khalil, alla conferenza del sottoscritto, gesuita venuto dalla Siria. L’atmosfera era davvero simpatica. Coloro che è di moda chiamare «rappresentanti della società civile» erano riuniti sotto una coloratissima tenda d’Abramo realizzata dai lupetti scout. Ho mescolato italiano e arabo per rivolgermi all’intimo di questi e di quelli. Alla fine m’hanno invitato al Centro di Firenze per parlare ai musulmani nel tempo tra la preghiera del tramonto e quella «della cena».
Mica facile arrivarci, anche con l’aiuto d’un navigatore satellitare. Mi s’è stretto il cuore a veder Firenze senza moschea. Sì, mi dispiaceva più per la città, e per la nostra civiltà, che per la comunità di Muhammad (pace a lui e ai suoi). Ci siam fatti una chiacchierata in arabo coi fiocchi. Alla fine, un algerino che fa le caricature ai turisti in piazza ha disegnato anche la mia, con il rosario musulmano in una mano e la croce nell’altra!
S’invoca la reciprocità per negare il diritto a costruire moschee qui da noi come se tutti i musulmani d’Italia fossero sauditi. Solo nel regno dei Sauud s’è negato finora il sacrosanto diritto di costruire chiese nelle città in cui vivono i cristiani. Ma la regola generale nel mondo musulmano non è quella. Chiese si restaurano e si costruiscono nella larga maggioranza di quei Paesi, anche quelli che non contavano nessun cristiano prima delle immigrazioni seguite allo sviluppo petrolifero. Una cosa è certa: più la paura e la xenofobia emarginano i musulmani negli scantinati e nei garage, più li troveremo nelle piazze del duomo arrabbiati, reattivi, perseguitati e complessati. Se invece s’esce alla luce del sole del rispetto e dell’ospitalità, allora si faciliterà l’integrazione cordiale, il buon vicinato e la conoscenza reciproca, dunque l’amicizia. Una grande moschea inoltre evita che si creino dei ghetti islamici nelle città e facilita l’osmosi culturale. L’esempio della moschea di Roma è positivo, nonostante il minareto tronco per timore di ferire l’onore cristiano della Città eterna.
A Trento, l’imam, un medico d’origine siriana tutto serena cortesia, di ritorno dalla riunione dei leader delle comunità islamiche europee, mi raccontava di questo suo sentirsi italiano, anzi trentino, e della nipotina che ha messo il tricolore a capo del letto e prega per il Bel Paese prima di dormire. Nelle strade decine di manifesti ci avvisano che la città è cristiana e non vuol saperne d’una moschea! E io che m’illudevo che nelle città cristiane del post-Concilio si facessero collette per aiutare i musulmani a disporre di luoghi di culto degni della civiltà del Vangelo... Comincio a temere per le sinagoghe!
In Liguria, le pagine regionali dei giornali ci parlano della via crucis del progetto della moschea locale e titolano: «La pazienza evangelica dei musulmani genovesi». Nel casinò di Sanremo ho ricordato che avremo i partner che avremo osato incontrare e le evoluzioni sulle quali avremo saputo puntare... Il rabbino Laras ha concluso l’incontro d’abramitico trialogo promosso da Villa Nobel avvisandoci che, nella Torah, il comando dell’amore del prossimo c’è una volta sola, ma quello d’ospitare e soccorrere lo straniero occorre in decine di versetti.

© FCSF – Popoli, aprile 2009