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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
No
La menzogna, la verità. La finzione, la realtà. Pablo Larraín continua la propria riflessione sulla Storia e le violenze subite dal Cile attraverso la commistione di «immagine» e «mondo», «genere» e «realtà».
Frammenti di «veri» spot per il «No» al referendum per destituire o confermare Pinochet e scene ricostruite di violenza realmente accaduta, percepibile, immutabile. Pare ancora in corso. L’effetto è spiazzante, inquietante.
L’autore cileno racconta il «Plebiscito nazionale» che nel 1988 determinò le sorti del suo Paese. René Saavedra (Gael García Bernal), affermato pubblicitario, viene ingaggiato per pianificare la campagna per il «No» a Pinochet. Cerca di restare in equilibrio tra la verità da comunicare e i meccanismi onirici degli spot televisivi. La sua famiglia e i coautori sono in pericolo, minacciati costantemente dalla polizia militare e dalle spie.
No, che esce nelle sale il 18 aprile, è stato presentato alla Quinzaine di Cannes (ha vinto il premio Cicae, Confédération internationale des cinémas d’art et d’essai) e candidato all’Oscar come miglior film straniero.
Larraín si ispira, oltre che ai fatti realmente accaduti, alla pièce El plebiscito di Antonio Skármeta. Imbastisce un’efficace opera «postmoderna» per mettere a fuoco la Storia. Chiude idealmente la trilogia su un periodo storico, aperta con Tony Manero e Post mortem. Mescola generi dell’epoca (dramma, spot, commedia, umorismo da sitcom, frammenti di telenovela), usa un supporto video (3:4) dai colori dorati come si usava negli anni Ottanta, per non fare percepire la differenza tra le immagini di repertorio e quelle girate per il film.
Il vero jingle composto da Sergio Bravo e Jaime de Aguirre dà ritmo al racconto e alla Storia. Stride con la violenza in corso nel film. Resta impresso nella memoria a lungo dopo la visione del film, come a dire che la «pubblicità» in politica può farsi necessaria. Lo spot originale si trova su Youtube: Chile, la alegría ya viene (alta calidad).
I veri spot d’epoca e il vero Pinochet, dunque, ci guardano dallo schermo. Il potente generale usa tutte le armi della dittatura, anche comunicativa. Per combatterlo occorre essere altrettanto accattivanti, efficaci, memorizzabili, perfino subdoli. Bisogna «arrivare» anche al ventre molle del Paese, quello a cui le cose vanno bene come stanno perché, così uno afferma: «I miei figli hanno un lavoro e io sto piuttosto bene. La violenza di Pinochet appartiene al passato, ora anche lui è davvero per la democrazia».
Pablo Larraín e il pubblicitario René Saavedra ci dicono che essere dalla parte giusta non basta. Occorre comunicare efficacemente, tenendo presente che le immagini (non solo) in dittatura possono intaccare la verità, camuffare, ritoccare o ripulire la mentira, la menzogna, lasciare la realtà fuori campo o ribaltarla. Occorre conoscere e anticipare l’avversario manipolatore.
Ci ha insegnato Marshall McLuhan: «Il mezzo è il messaggio». Se comunichiamo attraverso la Tv, dobbiamo prendere atto di come funziona la comunicazione televisiva. In regime dittatoriale è vitale, quanto necessario, alzare il tiro, mantenendo la propria integrità e unicità. Forse anche certi politici italiani dovrebbero seguire lezioni di comunicazione da René Saavedra.
© FCSF – Popoli, 1 aprile 2013