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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
Philomena
Nessun film nel 2013 ha saputo raccontare con la medesima potenza di Philomena il mistero dei sentimenti, della purezza e della grazia, capaci di resistere perfino dentro all’ingiustizia e alla tragedia personale, atroce quanto disumana.

L’ultimo film di Stephen Frears (nelle sale dal 19 dicembre) è tratto dal libro omonimo del giornalista Martin Sixsmith (ed. Piemme) e racconta la vera storia di Philomena Lee, ragazza madre nell’Irlanda degli anni Cinquanta. Chiusa in un istituto di monache insieme al proprio bambino, secondo una pratica diffusa nell’Irlanda integralista dell’epoca, Philomena si vede togliere il figlio «frutto del peccato», dato in adozione dalle suore a una facoltosa famiglia americana in cambio di denaro. Cinquant’anni dopo, il giornalista Sixsmith (Steve Coogan), ex inviato della Bbc e collaboratore di Tony Blair, è appena stato licenziato e si trova in cerca di storie da raccontare. Scopre casualmente il dramma della donna e decide di aiutarla nella disperata e impossibile ricerca del figlio.
Martin e Philomena instaureranno un’amicizia e un affetto sincero che sembra quello fra un figlio adulto e la propria madre.

Laico, cinico e razionale lui, strenuamente credente, affettuosa e sentimentale lei (anche la vera Philomena Lee ha mantenuto una fede incrollabile, nonostante quello che ha subito dalla Chiesa). «Non crederai solo a ciò che vedi!», dice la donna al miscredente Martin. Philomena cita con la stessa dimestichezza interi passi della Bibbia e i romanzi rosa, è al contempo semplice e profonda, gentile e inflessibile. Ha una forza fuori dal comune con cui riesce a sconfiggere l’ingiustizia più bieca. Non si arrende di fronte a nulla, fino a quando non saprà che cosa è successo davvero al figlio. «È ancora vivo? Si ricorderà di me?», si domanda spesso.

Frears è diretto, mai ammiccante, né ricattatorio. Al cinema non c’è niente di più difficile che mettere a fuoco i sentimenti senza cadere nel sentimentale. L’autore britannico ci riesce soprattutto grazie a uno stile asciutto, fatto di inquadrature essenziali sui volti e dialoghi magnifici, realistici, senza orpelli, a contrappuntare ogni scena nella tradizione del migliore teatro britannico. E, soprattutto, Philomena conquista qualunque spettatore grazie a un’attrice straordinaria e unica come Dame Judi Dench, che dà corpo e volto, segni di dolore e bellezza, una purezza indecifrabile a Philomena. Incarna così il contrasto fra la fede vacua di sole parole (le monache si chiamano «Sorelle di misericordia») e la fede concreta, di gesti quotidiani e cuore sincero (Philomena non smette mai di pregare e «cercare» davvero).
L’ottimo Steve Coogan è una spalla perfetta. Infine un’altra parte del merito va alla sceneggiatura sempre efficace, intessuta di dialoghi memorabili.

A Venezia il film - fatto insolito - è stato il più applaudito sia dalla critica sia dal pubblico (non dalla giuria che gli ha assegnato solo il premio per la sceneggiatura). In quell’occasione Frears ci ha raccontato di essere stato battezzato anglicano, di avere origini ebraiche, mentre oggi si dice fieramente laico. E ha aggiunto: «Sono un sincero estimatore di Papa Francesco. Spero proprio che in Vaticano gli lascino vedere il mio film!».



© FCSF - Popoli, 2 gennaio 2014