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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Povertà: condizione per essere agnelli
Non portate borsa, né bisaccia, né sandali e nessuno salutate per via (Luca 10,4).

Il ricco non è agnello: è lupo, lui o suo padre. La brama di ricchezza è idolatria, origine di ogni male (Ef 5,5; 2Tm 6,10), di divisioni e lotte, ingiustizie e guerre. Chi fa del denaro il suo dio, gli immola la vita propria e altrui. Per vincere il lupo, il discepolo deve imparare la povertà. Essa costringe a servire in umiltà, come l'Agnello. Dio è povero: non possiede nulla, neanche se stesso. L'essere del Padre è essere del Figlio e viceversa; e lo Spirito è il loro amore reciproco che li fa essere uno dell'altro. Uno non è ciò che ha, ma ciò che dà: se ha nulla, dà se stesso ed è se stesso. Dio è amore che dà tutto, fino a dare se stesso. E così è se stesso. La povertà è necessaria all'amore: chi ama ha nulla perché dà tutto e, dando tutto, realizza se stesso. Senza povertà c'è scambio e meretricio. La povertà crea solidarietà: i bisogni diventano luogo di comunione e dono reciproco. La povertà rende possibile essere accolti e accogliere: realizza il regno di Dio, amore ricevuto e corrisposto nell'unico Spirito. La povertà è «madre» della vita cristiana: ci genera figli del Padre. La povertà è fede in Dio, vittoria sul mondo.

Dio ha scelto i poveri per farli ricchi con la fede ed eredi del suo regno (Gc 2,5): già ora il regno è loro (Lc 6,20; Mt 5,1). A Gedeone, ricco di un bell'esercito, Dio dice che non può vincere: è troppo forte (Gdc 7,2). Deve ridurre i suoi soldati da 32mila a 300, che vinceranno senza armi. Anche Davide, contro Golia, si deve liberare dell'armatura (1Sm 17,38s). Pure gli apostoli Pietro e Giovanni fanno il primo miracolo perché non hanno né argento né oro: solo la forza del nome di Gesù fa camminare l'uomo storpio dalla nascita (At 3,6). Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (2Cor 8,9). Dove i missionari hanno usato ricchezze e potere, ci sono voluti secoli, e persecuzioni, perché l'evangelizzazione potesse decollare. La povertà è necessaria per non essere lupi e amare. Chi ha cose o si divide dagli altri o dà cose; chi ha nulla si unisce agli altri e dà se stesso.

«Non portate borsa» - Nella borsa c'è il denaro, mediatore universale: esso è nulla, ma può tutto. Sicurezza del ricco e dio di questo mondo, garantisce possesso, dominio e prestigio. Sicurezza del povero invece è l'amore fraterno, che dona e serve in umiltà.

«né bisaccia» - In essa si mette pane e provviste: è la sicurezza del povero. Nostra sicurezza non è quanto possediamo, ma il pane che condividiamo: è la solidarietà, che già ora è pegno di vita eterna.

«né sandali» - Lo schiavo è scalzo. L'apostolo è schiavo del Vangelo, del quale è debitore a tutti (Rm 1,14): è come il Figlio che si fa servo dei fratelli. La libertà dei figli è la dignità di servire e amare come sono amati (Gal 5,13s). Questi sono i sandali del figlio perduto e ritrovato (Lc 15,22): i sandali dell'esodo, che Marco dice di portare (Mc 6,9).

«e nessuno salutate per via» - La via del discepolo è quella del Maestro, che porta salvezza a tutti. Egli è come Gecazi, il servo di Eliseo: inviato a risuscitare il figlio della vedova, non deve fermarsi per via (2Re 4,29). Non c'è tempo da perdere. L'annuncio è urgente: fa passare dalla morte alla vita. Esso infatti è potenza di Dio per la salvezza di chiunque l'accoglie. Per questo Paolo dice: «Guai a me se non evangelizzo» e «Non mi vergogno del Vangelo» (1Cor 9,16; Rm 1,16). L'allusione a Gecazi suona anche minaccia: per la sua brama di ricchezza, prese la lebbra dalla quale Eliseo aveva guarito Naaman il Siro (2Re 5,20-27). Anche il discepolo che ama il denaro infetta sé e gli altri del morbo mortale che dovrebbe curare.
© FCSF – Popoli, 1 maggio 2009