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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Preghiera e missione
Supplicate dunque il Signore della messe che getti fuori operai per la sua messe (Luca 10, 2b). Non basta amare il Signore per essere suoi collaboratori. Posso amarlo e lavorare contro di lui. Così ha fatto Pietro, che Gesù chiama «satana». Infatti rifiuta la croce, presume di esser meglio di tutti e usa le armi del nemico per difenderlo (Mc 8,31-33; 14,28-31,47). Pure Giacomo e Giovanni, per amore (!), come i crociati di tutti i tempi, vogliono sterminare quelli che Gesù vuol salvare (Lc 9,51ss). E lottano per i primi posti, come tutti gli altri (Mc 10,35-45). Litigano addirittura nell'ultima cena, mentre Gesù sta in mezzo a loro come colui che serve (Lc 22,24-27). Che fare per non cercare, in nome di Dio, ciò che lui detesta? Come collaborare con lui e non con satana? È tragico, «a fin di bene», portare la maglia di Gesù e fare il gioco della squadra avversaria. Divento «adatto per il regno di Dio» quando desidero, voglio e supplico il Signore di avere un amore così grande per lui che mi tolga dai miei affetti disordinati. Solo così, libero dal possesso di cose, di persone e di Dio stesso, posso seguire il Figlio sulla via del dono, del servizio e della fiducia (Lc 9,57-62). Principio della missione è il suo fine: la preghiera. La preghiera è comunione con il Signore: ci trasforma in lui e ci abilita a testimoniarlo. «Supplicate» - Supplicare è chiedere all'altro ciò di cui ho bisogno. «Pregare» è parente di «precario»: prego per avere ciò che solo l'altro mi può dare. La preghiera esprime il desiderio, unica condizione per ottenere il dono. L'amore, come ogni relazione, è dono dell'altro: non me lo posso dare io. Dio è amore infinito: io, bisognoso di amore infinito, ne ricevo nella misura in cui lo desidero. Nelle cose essenziali - terra, acqua, luce, aria, vita e amore - sono «precario»: posso solo riceverle. Il mio stesso io mi viene dall'altro: non mi sono fatto da me. La preghiera, in quanto desiderio, non ha oggetto specifico. È come la fame: desidera il cibo, ma non lo produce né distingue quello buono da quello velenoso. Solo dall'esperienza altrui so cosa mangiare. Come in tutto, anche nella preghiera, imparo cosa desiderare, per ricevere ciò che mi dà vita e non morte. La stessa Parola mi suggerisce, di volta in volta, cosa chiedere. Pure Gesù, prima di iniziare il suo ministero, passò quaranta giorni nel deserto per imparare dalla Parola cosa fare o non fare, mangiare o non mangiare. Anche prima della chiamata dei Dodici e del discorso delle beatitudini, passò la notte in preghiera (Lc 6,12ss). I discepoli sono inviati agli altri nella misura in cui «sono con lui» (Mc 3,14), uniti a lui come il tralcio alla vite (Gv 15,1ss). Diversamente non portano frutto. Per questo gli apostoli, quando hanno molte cose da fare, capiscono di lasciare queste ad altri, per dedicarsi alla preghiera e alla Parola (At 6,4). Anche Mosè, condottiero di un popolo verso la libertà, nella prima lotta decisiva resta sul monte con le braccia alzate. Solo così il popolo vince i nemici, immagine del male che è in noi (Es 17,1ss). «dunque» - Per diventare operaio, collaboratore di Gesù, la preghiera è il «dunque». Per questo i discepoli chiederanno a Gesù: «Insegnaci a pregare» (Lc 11,1ss). A pregare come prega lui, per essere come lui. Perché uno diventa ciò che desidera. Solo chi è come lui, il Figlio, può testimoniare ai fratelli l'amore del Padre. «il Signore della messe che getti fuori operai per la sua messe» - È opera, e interesse, del «Signore della messe» farci suoi collaboratori: la messe non è nostra, ma «sua». Per diventare suoi operai dobbiamo essere stanati dall'egoismo, gettati fuori dalle nostre brame di avere, potere e apparire. Così possiamo collaborare con lui, perché siamo come lui: amore che dona e serve in umiltà. Altrimenti, ovunque andiamo, anche con buone intenzioni, lavoriamo in realtà contro di lui.
© FCSF – Popoli, 1 marzo 2009