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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Quando la storia accelera
6 febbraio 2011. L’emozione è incontenibile vedendo in Tv una messa orientale celebrata nella Piazza della Liberazione al Cairo. Segue il rito musulmano. Si prega per le vittime della rivoluzione del 25 gennaio. Lungo tutta la Valle d’Egitto sono migliaia i feriti e centinaia i morti: confessori e martiri della democrazia popolare e solidale. Sapeva il papa Benedetto, sapevano i padri del Sinodo per il Medio Oriente che la loro forte rivendicazione di giustizia, di libertà di coscienza, d’impegno civile sarebbe stata ascoltata e sottoscritta col sangue e il coraggio di tanti giovani? I morti d’Alessandria, in chiesa a capodanno, hanno separato i copti dalla logica di regime. I cristiani egiziani hanno abbandonato la dittatura «moderata» e «pro-occidentale» di Hosni Mubarak. Lo spostamento di un peso di per sé non decisivo può provocare uno sbilanciamento totale!

In un’intervista a La Croix l’amico Christian Cannuyer, studioso dell’Egitto copto, sottolinea la forte dicotomia creatasi tra la gerarchia religiosa e la popolazione cristiana. La prima resterebbe prudente e associata al regime, mentre la seconda scende in piazza contro Mubarak. «I copti fanno parte della popolazione egiziana (circa 10%, 8 milioni). Con essa sono coscienti che il regime è responsabile d’una situazione d’imputridimento sociale, che ha servito gli interessi d’una ristretta classe d’affaristi». Mubarak è accusato «d’aver strumentalizzato le relazioni confessionali brandendo continuamente la minaccia islamista per giustificare il mantenimento d’un regime dittatoriale e il prolungamento dello stato di emergenza».
Sicuramente l’esempio tunisino è stato decisivo. Quella domenica 16 gennaio, dopo che il tiranno Ben Ali era fuggito in Arabia, il gusto in bocca era di mattina pasquale. La «rivoluzione dei gelsomini» aveva vinto.

Il nodo del ricatto pluridecennale, col quale si sono assoggettati i popoli con la minaccia di lasciare le briglie sciolte sul collo del dromedario fondamentalista, è stato sciolto dalla maturità politica d’una nuova gioventù. I nonni comunisti e i padri islamisti s’inchinano oggi di fronte alla primavera democratica, sbocciata, nel cuore dell’inverno della corruzione e dei sistemi torturatori, tra le mani nude di questi cittadini verde tenero.
La disperazione dei ragazzi umiliati, immolatisi col fuoco per dire al Cielo che l’Inferno è meglio d’una Terra ingiusta, ha fatto da detonatore d’una mutazione irresistibile.
Due saggi coraggiosi, Mohamed el-Baradei, ex dell'Agenzia internazionale per l’energia atomica, e Amr Moussa, segretario generale della Lega araba, entrambi dotati di grande esperienza nella mediazione internazionale, forniranno i volti adatti alla giovane democrazia egiziana.

Trema lo Stato sionista e con ragione. La carta dell’estremismo islamico non si potrà più giocare. È il momento di decidersi per la pace nell’equità o di prepararsi al tramonto. La storia ormai corre!
In diversi Paesi arabi i rischi di guerra intestina e di frantumazione obbligano ancora la società civile a scegliere pazienza e gradualità. La mobilitazione virtuale non può scendere in strada, pena l’ennesimo bagno di sangue. È tuttavia tempo di miracoli. Perfino la transizione verso l’indipendenza del Sud del Sudan sembra realizzarsi in modo quasi incruento.
Dal Marocco all’Iran nulla è più come prima. La regola è infranta. Si vanno disegnando pezzi essenziali del nuovo puzzle geopolitico in vista d’una governance mondiale alternativa, puntando a raggiungere Paesi come il Brasile e la Turchia nella definizione d’un diverso multi-polarismo globale.
E l’Italia, leccandosi le ferite inflittegli dall’irresponsabilità post-democratica, se ne sta imbambolata in mezzo al mare in ebollizione, come un sordomuto - dice il proverbio arabo - a una festa di nozze!
Paolo Dall'Oglio S.I.


© FCSF – Popoli, 14 febbraio 2011
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