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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Quei giovani preti,
tra vesti lunghe e turiboli
Tra i giovani preti è tutto un pullulare di vesti lunghe e turiboli, nelle loro prediche sento parlare molto più spesso di dogmi e di precetti che non di Vangelo e di Gesù. Come mai questa chiusura nelle sacrestie, così paradossale nel momento in cui si vorrebbe lanciare una «nuova evangelizzazione»?
Marco Santovito
via e-mail

La tua è la domanda di chi crede che Gesù «è veramente il salvatore del mondo» (Giovanni 4,42). Il «mondo» per Giovanni è la struttura di peccato che schiavizza quanti non hanno «creduto all’amore che Dio ha per noi» (1Giovanni 2,16; 4,16). Purtroppo molti cristiani non credono all’amore. Preferiscono, come fanno tutte le religioni, cercare Dio con riti, divieti e precetti. Ma «Dio è amore»; e «in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi, (…) noi amiamo, perché egli ci ha amato per primo» (1Giovanni 4,8.10.19). Nel Vangelo non è l’uomo che cerca Dio, ma Dio che cerca l’uomo, perché lo ama.
Unico comando di Gesù è: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi». E spiega: «Come il Padre ama me, così io ho amato voi»; e dice di noi al Padre: «Li ami come ami me» (Giovanni 13;34; 15,9;17,23). Che vertigine! Quando, vivendo la libertà dell’amore, noi saremo una cosa sola tra noi, con lui e con il Padre, solo allora il mondo crederà nel Figlio inviato dal Padre per salvare tutti (Giovanni 17,13). Chi ignora questo amore, sostituisce il Vangelo con la legge. Scambia la libertà dei figli con obblighi e riti per placare un dio ostile: vive da schiavo, come il fratello maggiore nella «parabola del padre misericordioso» (Luca 15,25-32).
Paolo oggi ci rimprovererebbe come fa con i cristiani di Colossi: siamo pagani, pieni di «precetti (...), prescrizioni, e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità, umiltà e austerità riguardo al corpo; ma in realtà non servono che a soddisfare la carne» (Colossesi 3,20-23; cfr. Marco 7,1-13). «Non avete più nulla a che fare con Cristo, voi che cercate la giustificazione dalla legge: siete decaduti dalla grazia». «Volesse il cielo che si mutilassero» quelli che vi propongono tali cose. Ma «Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà», per essere, mediante l’amore, «a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso» (Galati 5,4.12-15).
Se è così, perché succede ciò che scrive il lettore? Perché, da Adamo in poi, crediamo più al serpente che a Dio! Più che nel suo amore, poniamo la nostra sicurezza in culti e culture, in liturgie e sacrifici. Ma il nostro «incenso è un abominio» per il Signore (Isaia 1,16-21). È facile per il cristiano dimenticare il Vangelo e tornare schiavo della legge. Anche e soprattutto oggi, che è tempo di cambiamenti. Chi ha paura, invece di coltivare le cose fondamentali, cerca segni esteriori che gli garantiscano di avere dio in tasca. Ma questo è un idolo morto che dà morte. Invece di «passeggiare in lunghe vesti» è meglio guardare alla vedova (Marco 12,38-44).
Il Concilio di Gerusalemme pose il fondamento: la fede in Gesù e nel suo amore per noi ci salva. Quanto è costruito fuori dal fondamento, ci cade addosso. Urge un secondo Concilio di Gerusalemme. Nel primo si passò dal giudaismo al cristianesimo; ora dobbiamo tornare da un cattolicesimo chiuso su di sé a un po’ più di cristianesimo, aperto a tutti.
Ci lamentiamo che il mondo non ci capisce. Se, invece di costruire un ghetto con siepi di tradizioni e credenze emerite, cominciassimo ad amare, il mondo ci capirebbe. Il Vangelo, infatti, offre la libertà e la salvezza che ogni uomo desidera. Unica condizione è che testimoniamo Gesù e non le nostre paure, nascoste da vesti e affumicate di incensi. La nuova evangelizzazione è nulla di nuovo: è prendere sul serio e vivere l’unico vangelo di salvezza. E non ce n’è un altro!
28 aprile 2011