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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
Rengaine
Teso, sincero e «puro» cinema, come un film di Cassavetes aggiornato al cinema digitale, Rengaine di Rachid Djaïdani racconta una sorta di Romeo e Giulietta suburbano e contemporaneo. Mosaico di volti, persone, storie, racconti periferici che s’intrecciano nella banlieue, la periferia parigina, inattesa culla di razzismi tra poveri e di non integrazione tra non integrati.
Il nero, anzi «negro», africano, cristiano e pacifico Dorcy vuole sposare - ricambiato - Sabrina, ragazza musulmana di origine algerina, sorella di Slimane, il più vecchio di una quarantina di fratelli. Slimane cerca Dorcy per le strade per pestarlo, forse ucciderlo. Slimane, razzista e violento, che ha anche allontanato dalla famiglia un fratello omosessuale, tuttavia nasconde a tutti una relazione con una ragazza ebrea.

Il film antirazzista più potente e libero - nel cuore, nel pensiero e nel modo in cui usa il linguaggio cinematografico - degli ultimi anni: Rengaine (cantilena, nenia) è stato accolto da un applauso di venti minuti all’ultima Quinzaine a Cannes. È uscito a metà novembre nelle sale francesi, non ha ancora una distribuzione italiana, ma ci auguriamo che qualcuno se ne (pre)occupi al più presto.

L’autore, di padre algerino e madre sudanese, è cresciuto in una famiglia di undici fratelli e sorelle. Ex campione di boxe, ex muratore, ex attore, ha realizzato Rengaine quasi a costo zero, in nove anni di lavorazione e 400 ore di girato, per un montaggio finale di quasi settantacinque minuti potenti.

Mostra i volti dei suoi attori dai colori diversi, visi scuri nel buio notturno, sguardi arrabbiati, sguardi gentili, amori, ma soprattutto odio. Odio che - come la povertà rispetto alla ricchezza - nella banlieue è spesso più diffuso dell’amore. Non è un caso che Djaïdani, qui al suo primo lungometraggio da regista, abbia cominciato a lavorare nel cinema (era addetto alla sicurezza) proprio sul set di La haine (L’odio) di Mathieu Kassovitz, capolavoro sulle strade violente e la rabbia degli emarginati, degli esclusi dal festino del potere e delle pance piene. La periferia è il luogo dove può ancora esplodere la violenza più cieca, la logica delle «tribù» che non si sono mai integrate fra loro e ancora meno con il Centro. Nell’ideologia concentrazionaria, che da sempre muove il Potere, bisogna concedere una valvola di sfogo alla rabbia. Che cosa di meglio può esservi della guerra fra poveri, fra i «ghettizzati» e le minoranze schiacciate da altre minoranze? Rengaine racconta magnificamente come questo avvenga attraverso i razzismi tra «neri», chi più nero di pelle chi meno. Cattolici, musulmani, ebrei, omosessuali, neri: tutti siamo minoranze e feccia per qualcuno.

Puro cinema destabilizzante, disturbante e diretto, già ribattezzato «cinéma-guérrilla» dalla rivista Les Inrockuptibles, Rengaine scorre veloce e diretto come un rap di strada, poetico, arrabbiato, violento e sincero.


© FCSF – Popoli, 1 gennaio 2013