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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Separare religione e politica?
Poche settimane fa ero a Londra per un seminario sull’Instrumentum Laboris del Sinodo per il Medio Oriente. Il vescovo caldeo di Aleppo, il gesuita Antoine Audo, ha sottolineato che i cristiani orientali non vogliono tornare a vivere nella «dhimmitudine» (la condizione di sottomissione di cristiani ed ebrei nello Stato islamico).
Al n. 29 del documento preparatorio si propone che i cattolici approfondiscano il concetto di «laicità positiva», contrapposto a quello di teocrazia e relativo all’uguaglianza tra tutti i cittadini, alla democrazia e alla distinzione tra gli ordini religioso e temporale. Al n. 41 si affronta il tema dell’islam politico in sviluppo negli ultimi quarant’anni. La conclusione è al n. 42: «Tali correnti estremiste, pertanto, sono una minaccia per tutti - cristiani, ebrei e musulmani - e noi dobbiamo affrontarla insieme». Noto che senza il ristabilimento della giustizia in Terra Santa sarà difficile affrontare insieme gli estremismi. Inoltre i movimenti musulmani sono una realtà che esprime forti esigenze presso la maggioranza della popolazione, sicché la scelta è tra laicità, più o meno «positiva», e democrazia, più o meno islamica.
Al n. 90, nel contesto della difficile relazione tra le Chiese d’Oriente e lo Stato d’Israele, si ripete: «D’altra parte le Chiese nel Medio Oriente invitano a mantenere la distinzione tra la realtà religiosa e quella politica». Appena prima si chiariva che «l’antisionismo (...) è piuttosto una posizione politica e di conseguenza da considerare estranea a ogni discorso ecclesiale». Intuisco qui la disponibilità di importanti ambienti ecclesiali ad accettare l’occupazione sionista di tutta Gerusalemme in nome della distinzione tra politica e religione e della laicità positiva.
Anche all’interno della Chiesa, Gerusalemme è una grave questione non toccata dall’Instrumentum Laboris. La creazione del Patriarcato latino nel XIX secolo è una ferita aperta per tutti i cattolici orientali. Il Sinodo sarebbe un’occasione opportuna perché il capo della «Chiesa latina» di Gerusalemme (tra l’altro un arabo palestinese) rinunciasse al titolo patriarcale, e magari anche alla qualificazione «latina».
Un elemento positivo, quasi in controtendenza, è rappresentato, nel n. 96, da una bella citazione di Benedetto XVI che sottolinea il «molto in comune» tra le tradizioni biblica e coranica, proprio a partire dagli elementi condivisi nel quadro geografico-cultural-religioso mediorientale, sicché si auspica lo sviluppo del «trialogo» ebraico-cristiano-musulmano.
Quindi, per la terza volta, si rimprovera ai musulmani di non saper distinguere tra religione e politica (la quarta è al n. 101 e la questione ritorna ai nn. 103-110), «il che mette i cristiani nella posizione delicata di non cittadini». Insomma, ciò che i cristiani orientali sono stufi di sopportare è proprio ciò che i musulmani vorrebbero ristabilire: una teocrazia.
Il Vicario patriarcale per i latini di lingua ebraica, il gesuita David Neuhaus, ha riconosciuto che ebrei, musulmani e cristiani già hanno fatto nel passato l’esperienza tutto sommato positiva d’un pacifico convivere in buon vicinato. Mi sono allora permesso di ricordare che tale convivenza era stata possibile proprio nel quadro della tanto bistrattata teocrazia islamica (di cui non auspico il ritorno, ma forse una riedizione geniale frutto del confronto con la modernità). Nessuno può ignorare, neanche al Sinodo, che i diritti e le libertà non si ottengono contro la democrazia e la democrazia non cresce contro la maggioranza, ma attraverso la sua evoluzione stimolata da minoranze lealmente solidali. Né libertà religiosa e diritti umani si possono imporre dall’esterno. Si propongono, invece, nel dialogo paziente e l’apertura al nuovo, perché l’islam possa maturarli a modo suo.
Perché non lavorare, a partire da Gerusalemme, a una visione dove ebrei, cristiani e musulmani si offrono ospitalità religiosa e buon vicinato politico, mentre l’Onu ci mette la garanzia della legalità mondiale? Forse ci aiuterà la categoria un po’ francese della «laicità positiva», ma molto di più l’obbedienza profetica allo Spirito di Dio.

© FCSF – Popoli, 1 agosto 2010
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