Sul Corriere della Sera del 13 gennaio il politologo Angelo Panebianco ha rilanciato in un editoriale una domanda che certamente molti si pongono: rispetto all’immigrazione, bisogna ragionare in termini di accoglienza o di convenienza per il nostro Paese? La risposta di Panebianco andava decisamente verso il secondo corno dell’alternativa, non senza contorno di critiche verso un presunto scriteriato «aperturismo» cattolico, a suo avviso prevalente.
Credo che il suo ragionamento sia sbagliato per tre ragioni.
Primo, quando si tratta di rifugiati, le convenzioni internazionali e la nostra Costituzione ci obbligano all’accoglienza. Non ci sono calcoli di convenienza che tengano, né limiti possibili all’accoglienza. Tutt’al più si può ragionare a livello internazionale su come condividere gli oneri. Non senza però dimenticare i dati su chi davvero ospita i numeri maggiori di rifugiati: per l’81%, il cosiddetto Terzo Mondo.
Secondo, le convenienze calcolate dalla politica possono divergere rispetto a quelle del sistema economico e delle famiglie. In Italia, sette sanatorie in 25 anni, più i decreti flussi, dovrebbero averci insegnato che limitazioni degli ingressi irrealistiche rispetto ai fabbisogni effettivi di lavoro non producono altro che soggiornanti irregolari, lavoratori non tutelati e necessità di imbarazzanti misure per favorire l’emersione.
Terzo, da anni crescono i ricongiungimenti familiari. Dopo le braccia, arrivano le famiglie. Qui la convenienza economica direbbe: chiudiamo, evitiamo costi sociali in termini di scuola, sanità, alloggi. La convenienza sociale invece è un’altra: consentire i ricongiungimenti significa favorire un’immigrazione più integrata e meno sbandata, più radicata e meno esposta alla devianza. Poi intervengono anche qui convenzioni internazionali e corti di giustizia, che hanno sancito da anni in Europa il diritto all’integrità familiare.
In definitiva, anche i calcoli di convenienza sono più complicati di come li presenta l’illustre politologo. E se si approfondiscono, forse si scoprirebbe che una saggia accoglienza non è affatto alternativa a una convenienza lungimirante.