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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
Sindaci o sceriffi?
È sempre più in auge a livello locale un nuovo tipo di politiche dell’immigrazione, con una recrudescenza in occasione delle scadenze elettorali. Non si tratta più di misure che intendono favorire processi di integrazione dei nuovi residenti nel contesto in cui sono venuti a stabilirsi, ma di interventi volti a escluderli dalla partecipazione alla società locale. Interventi che alzano steccati e marcano i confini tra cittadini a tutti gli effetti, titolari del diritto di voto, ed estranei, forse tollerati come lavoratori utili, ma considerati non meritevoli di una piena appartenenza alla comunità.
Il repertorio delle misure in questione è molto ampio. Analizzando anche solo una settantina di casi riferiti a 47 comuni e province lombarde, possiamo parlare di esclusione civile, quando è messo in questione il diritto di risiedere in un determinato comune; di esclusione sociale, quando gli immigrati sono discriminati nell’accesso a benefici sociali dispensati a livello locale, come i bonus bebé; di esclusione culturale, quando i sindaci emanano ordinanze contro il velo integrale (burqa o niqab) o decretano la chiusura di locali adibiti a luoghi di culto, senza curarsi di individuare soluzioni alternative; di esclusione securitaria, quando le amministrazioni locali incitano i cittadini a denunciare i cosiddetti «clandestini» o mandano la polizia locale a controllare le abitazioni degli immigrati; di esclusione economica, quando i provvedimenti colpiscono le attività economiche con titolare straniero, come è avvenuto con le limitazioni inflitte a phone center e kebab.
Non sempre questi interventi passano inosservati o senza incontrare opposizioni. Interventi dall’alto, come quelli dell’Unar (Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali), o iniziative dal basso, come le azioni legali condotte dalla combattiva associazione «Avvocati per niente», hanno condotto al ritiro o alla bocciatura delle misure più criticabili. Come nel caso dell’esclusione dei figli di immigrati irregolari dalle scuole materne del comune di Milano.
Ma i promotori non cercano necessariamente di conseguire risultati effettivi. È interessante che esista un sito internet su cui sono resi disponibili i diversi provvedimenti, che vengono poi non di rado scaricati e riprodotti tali e quali in un altro comune. Compresi quelli già cassati dai tribunali. Non è importante governare saggiamente: in tempi di risorse scarseggianti, si può riscuotere consenso a costo zero, mostrando agli elettori che si usa il pugno duro con gli «invasori» (che tanto non possono votare), agitando paure e aizzando risentimenti. Si conquistano interviste e titoli sui giornali, mettendo in scena un «cattivismo» retorico e ipocrita. Perché alla fine gli immigrati servono, e mandarli via non è possibile.
© FCSF – Popoli, 1 giugno 2011