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Lettere da Strasburgo
Rosario Sapienza
Ordinario di Diritto internazionale e Diritto dell'Unione europea nell'Università di Catania
Tortura di Stato e immunità: un'altra occasione persa

Il 14 gennaio una camera della quarta sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha reso la propria decisione sul caso Jones e altri contro Regno Unito (ricorsi n. 34356/06 e 40528/06), stabilendo che funzionari di uno Stato straniero non possono essere processati in un altro Stato, nemmeno nell’ambito di un giudizio civile volto a ottenerne un risarcimento, a motivo della costante vigenza di un antico principio del diritto internazionale, quello della immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione.

I ricorrenti, i signori Jones, Mitchell, Sampson (morto nel 2012) e Walker, tutti cittadini britannici, si dolevano di non aver potuto portare in giudizio davanti ai tribunali del Regno Unito funzionari del Regno dell’Arabia Saudita per vederli condannare al risarcimento dei danni loro procurati per averli torturati durante la loro detenzione nelle prigioni di quel Paese. Essi sostenevano di essere stati privati del sonno, colpiti con verghe sulle mani, sul capo e sulle gambe. Jones lamentava di aver subito anche altre pratiche di tortura, come l’essere stato sospeso per le braccia e di essere stato drogato. I tribunali inglesi avevano però rifiutato di ammettere le loro doglianze perché avevano ritenuto che l’operato di pubblici ufficiali di uno Stato sovrano fosse comunque coperto dall’immunità di quello Stato.

Anche secondo la Corte europea, che ha deciso con una maggioranza di sei a uno, non c’è stata in questo caso violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione europea che garantisce il diritto di accesso ai tribunali, perché questo diritto deve intendersi subordinato al complesso dei principi di diritto internazionale, incluso quello della immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione statale. La Corte ha ritenuto insomma di non doversi discostare dalla sua precedente decisione nel caso Al Adsani c. Regno Unito (ric. n. 35763/97) del 2001.

Così decidendo la Corte europea si è poi allineata, nella sostanza, a quanto deciso il 3 febbraio 2012 dalla Corte internazionale di Giustizia nel caso delle Immunità giurisdizionali che ha visto contrapposta la Repubblica Federale di Germania all’Italia. Anche in quel caso, la Corte internazionale aveva deciso che l’immunità dalla giurisdizione  impediva di convenire la Germania davanti ai tribunali italiani per chiamarla a rispondere delle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dalle truppe tedesche di occupazione durante la Seconda Guerra Mondiale.

La giurisprudenza italiana, a partire dalla celeberrima decisione nel caso Ferrini resa dalla Cassazione nel 2004 (5044/2004), aveva invece ritenuto che l’immunità non potesse essere invocata quando gli atti commessi dai pubblici ufficiali di uno Stato straniero avessero violato i principi giuridici internazionali che proteggono i diritti fondamentali dell’uomo. 

Anche la Corte europea ha inteso ribadire la posizione della Corte internazionale di giustizia e così facendo, dispiace dirlo, ha perso l’occasione di operare concretamente per l’avanzamento della frontiera della tutela dei diritti dell’uomo. Ciò peraltro è avvenuto non senza divisioni: il giudice Bianku, nella sua opinione separata concorrente, avrebbe preferito che il caso venisse deferito alla Grande Camera, mentre il giudice Kalaydjieva ha votato contro, segnalando come, nei processi penali, chi si rende responsabile di atti di tortura non possa beneficiare della immunità del suo Stato anche se ne sia un agente o funzionario e concludendo la sua opinione dissidente con un significativo “Che peccato!”.
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15/01/2014