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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Tre doni necessari per la missione
Ti seguirò! Segui me!
(leggi Luca 9, 57-62)

Se non conosco Gesù, anche se lo amo, posso fare il contrario di lui. Se poi lo conosco, mi accorgo di amare non lui, ma i miei desideri su di lui. Per avere discernimento, bene raro anche nella Chiesa, devo conoscere per amare e poi amare per conoscere e amare sempre di più. Dio, infinitamente conoscibile e amabile, è sempre imprevedibile e ulteriormente amabile.

Se l'intelligenza, ingannata, ha una falsa immagine di lui, anche la volontà è schiava di meccanismi acquisiti. Quando voglio fare ciò che so essere bene, non sono capace (cfr Rm 7,14-25). Ecco perché il male è banale: esce bene e senza difficoltà. Mentre il bene riesce male e con difficoltà. Gesù mi libera l'intelligenza da menzogne e la volontà da schiavitù: le sue parole sono Spirito e vita (Gv 6,63). Per questo, nonostante le mie resistenze, come Gesù nell'orto devo chiedere: «Padre, sia fatta la tua, non la mia volontà!» (Lc 22,42).

Nelle tre scene di questo brano evangelico l'intelligenza conosce il fine, ripetuto tre volte: seguire Gesù. Però la volontà è schiava di abitudini cattive (=vizi), frutto dell'ignoranza. Qui si smascherano le sue tre resistenze alla verità. Scelto il fine giusto, automaticamente usa mezzi cattivi: possedere cose, persone e Dio stesso.

Nel primo quadro Gesù dice a chi vuol seguirlo: «Le volpi hanno tane, gli uccelli del cielo nidi». Le persone astute, come Erode la volpe, hanno tane: le loro sicurezze sono ben riposte nei caveaux. Gli sprovveduti, come uccelli del cielo, fanno di Dio il nido delle loro sicurezze. Tana e nido sono immagini materne. La madre rappresenta il mondo «del bisogno e del piacere»: garantisce vita materiale. Per l'adulto la madre è sostituita dalla madre terra, con i suoi beni. Ma per nascere bisogna uscire, non restare o entrare nella madre. Chi fa consistere la vita nella ricerca di beni e piaceri, non diventa mai uomo. Schiavo delle cose, non è ancora nato. La cupidigia è idolatria (Ef 5,5; Col 3,5), l'amore del denaro radice di ogni male (1Tm 6,10): sacrifica alle cose la vita nostra e altrui. Madre dell'adulto è la povertà: ci rende figli del Padre, simili al Figlio dell'uomo che non ha dove posare il capo. Il primo dono per la volontà è la libertà dalla schiavitù alle cose.

Nel secondo quadro chi segue Gesù chiede prima di seppellire il padre. Il padre è il primo affetto libero. Se la madre è il mondo della necessità e del piacere, il padre rappresenta «la libertà e il dovere» propri delle relazioni interpersonali. Ma ciò che viene prima di Dio, diventa dio. Ogni assolutizzazione è idolatria, affetto di morte, non di vita. Se per nascere bisogna uscire dalla madre, per crescere bisogna emanciparsi dal padre. Altrimenti si rimane castrati, in attesa per tutta la vita che muoia. Porre Dio come primo amore è il grande comando. È la castità, che ci fa capaci di amare come siamo amati. Il secondo dono per la volontà è la libertà dalla schiavitù reciproca tra persone.

Nel terzo quadro, a chi vuol seguirlo, Gesù dice di non guardare indietro. Altrimenti resta di sale, come la moglie di Lot. Il motociclista che guarda indietro si sfracella. Uno si volge indietro per capire chi è, perché vuole essere fedele alla sua storia. È una trappola: il passato si fa tomba del futuro. L'uomo è ciò che diventa. E diventa ciò che si propone. Il futuro non è riedizione pasticciata del passato. «Obbedire a Dio invece che all'io» ci dà un futuro nuovo, come ad Abramo. Bisogna ascoltare Dio, non pretendere che lui ascolti noi. Il terzo dono per la volontà è l'obbedienza a Dio, libertà dalla schiavitù al falso io. Sono le tre tentazioni che Gesù vinse nel deserto. Sono i tre doni che fa al suo discepolo per renderlo uguale a lui e inviarlo poi a continuare la sua missione.
© FCSF – Popoli, 1 ottobre 2007