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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
Tunisia e Italia, l'alleanza dell'ulivo
Il mare non ha mai separato l’Africa dall’Italia. E per i politici dell’Ottocento, intrisi di colonialismo, la Tunisia era l’approdo naturale degli italiani in cerca di terra. In viaggio per le province di Susa e Monastir, il diplomatico Enrico de Gubernatis, fratello di Angelo studioso di folclore, parlava dei pescatori siciliani che vi abitavano, avvicinandoli agli arabi «schietti e ospitali», ai mori «vili e gretti» e ai neri. «Un miscuglio di razze entro cui – scrive - l’etnografo - ci si perde». Era però più interessato all’economia e dunque nota le «immense piantagioni di olivi».
L’ulivo, appunto, la ricchezza della Tunisia (ne stima cinque milioni di piante) e che potrebbe fare la ricchezza dei coloni, capaci di occuparsene (a suo parere, almeno) con «un po’ più di cura che non vi danno gli abitanti del Paese».

Perché il giudizio del diplomatico sui metodi di coltura dei tunisini è drastico: «È raro che si dissodi il terreno, su cui cresce l’ulivo, per cui non assorbe nulla dell’umidità atmosferica, poco assorbe di pioggia, e la siccità l’uccide». E ancora: «A ciò aggiunga il non essere chiuso di siepe che lo protegga dagli animali, per cui e buoi e cammelli rodono a loro talento i rami più bassi e tolgono all’albero la sua miglior forza». Non apprezza neppure i metodi della raccolta, fatti battendo sul fusto con pertiche «in modoché non solo il frutto si disperdeva a qualche distanza tutto all’intorno, ma rami intieri cadevano a terra e facevano così monti di frasche che poi le donne affastellavano meglio e portavano nel villaggio. L’ulivo dopo la battaglia sembrava, né più né meno, un povero bastimento malmenato dalla burrasca» (E. De Gubernatis, Lettere sulla Tunisia e specialmente sulle provincie di Susa e Monastir, 1867).

In realtà l’ulivo appartiene da sempre alla storia della civiltà tunisina e solo più tardi raggiungerà l’Italia. L’olio è fondamentale nella cucina (e la mloukhiya, piatto piccante, di colore verde-nero, che si prepara per la festa del Profeta, lo dimostra) assieme alle molte spezie e verdure, alcune insolite come il gnawiya o gombo (Hibiscus esculentus). Oggi la Tunisia, con 65 milioni di olivi occupa il quarto posto tra i produttori di olio. Le varietà coltivate (Chemlali di Sfax e Chetoui) offrono un olio che compete con quello italiano: la vendetta dei miti tunisini sui colonialisti di ieri.
Anna Casella Paltrinieri
(ha collaborato Luisa Faldini, docente all’Università di Genova)



La ricetta
MLOUKHIYA, IL PIATTO PER LA FESTA DEL PROFETA
In una pentola profonda mettere 2 dl di olio d’oliva e mescolarvi a freddo otto cucchiai di polvere di mloukhiya (Corchorus olitorius). Unire 2-3 spicchi di aglio tritato finissimo, due cucchiai di coriandolo in polvere, mettere sul fuoco, mescolando, e far friggere per 3 minuti. Aggiungere lentamente, poco per volta, 1,2 l di acqua calda e far cuocere per 4 ore a fuoco basso (in alternativa usare la pentola a pressione, cuocendo per un’ora poi facendo restringere la salsa a pentola scoperta).
Condire 500 grammi di spezzatino di manzo con sale, pepe e mezzo cucchiaio di harisa o paprica e unirli alla mloukhiya quando sarà a mezza cottura, assieme a 250 gr. di merguez (salsicce di agnello o manzo piccanti). Unire qualche foglia di menta secca polverizzata. Il piatto è pronto quando l’acqua è evaporata e lascia il posto all’olio che copre tutta la superficie. Deve avere la consistenza della béchamelle. Si mangia con pane arabo.




© FCSF - Popoli, 6 maggio 2014